Un anno fa, il 25 settembre 2018, il presidente Giuseppe Conte esordiva all’Assemblea Generale dell’ONU con un breve e denso discorso indirizzato ai 193 Stati membri. Quest’anno, all’apertura della 74a sessione annuale 2019-2020, gli accenti al sovranismo saranno presumibilmente sostituiti da una chiara riconferma del multilateralismo, delle tradizionali alleanze internazionali e in esse del ruolo e dell’interesse dell’Italia, della cooperazione come fondamento dello sviluppo e della pace.
La parte in cui rivendicava il ruolo del nostro paese nella gestione dei migranti dovrebbe invece essere ripresa anche nel discorso che farà il 25 o 26 settembre, tra pochi giorni. Eccola:
«Da anni l’Italia è impegnata in operazioni di soccorso e salvataggio nel Mar Mediterraneo ed ha sottratto così alla morte decine di migliaia di persone, spesso da sola, come è stato più volte riconosciuto dalle stesse istituzioni europee allorché hanno affermato che l’Italia aveva ‘salvato l’onore dell’Europa’ … I fenomeni migratori con i quali ci misuriamo richiedono una risposta strutturata, multilivello e di breve, medio e lungo periodo da parte dell’intera Comunità internazionale … Su tali basi sosteniamo i Global Compact su migrazioni e rifugiati».
Per coerenza, il presidente Conte dovrebbe però aggiungere quest’altra asserzione:
« Una decisione parlamentare ha impedito al Governo italiano di firmare a Marrakech lo scorso dicembre il Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare. Come presidente del Consiglio dei Ministri e con le forze politiche che sostengono l’attuale governo mi impegno ad adottarlo quanto prima, anche come riferimento per le politiche migratorie che intendiamo condividere in modo strutturato a livello europeo e con i partner internazionali».
Sarebbe un considerevole segnale politico alla comunità internazionale e di serietà e credibilità dell’Italia.
Aderire al Global Compact è per l’Italia un passo indispensabile. Frutto di una decisione, nel 2016, dell’Assemblea Generale dell’ONU e di un successivo approfondito lavoro di esperti governativi e di qualificate realtà non governative a livello globale, è stato firmato lo scorso dicembre da 164 paesi (assenze significative, oltre all’Italia, quelle di Stati Uniti, Australia, Israele, Svizzera, Austria, Ungheria, Polonia, Slovenia). Si tratta di un patto giuridicamente non vincolante ma che impegna politicamente gli Stati firmatari e rappresenta un fondamentale riferimento per delineare una reale governance dei movimenti migratori nella sicurezza e nelle regole.
Esso può rappresentare quel condiviso denominatore comune su cui poter basare le politiche dell’Unione europea per il governo della realtà migratoria, contribuendo a superare, in buona parte, l’inconciliabilità delle posizioni contrapposte. Disegna infatti il filo conduttore su cui poggiare le decisioni comuni, pur nelle legittime differenti scelte e modalità operative dei singoli paesi.