logo
ONG
08 Giu 2017

DUE IMPERATIVI: SALVARE LE VITE E CONTRASTARE I TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI

Finite – si fa per dire – le assurde accuse alle organizzazioni non governative (ong) di essere troppo presenti in mare e di salvare quindi troppe vite, di apparire complici di trafficanti di esseri umani, di impedire le indagini contro il crimine organizzato, ci sono forse le condizioni per cercare di affrontare con serenità il problema per quello che è, senza stucchevole propaganda politica e facili scaricabarile ma valorizzando, per quanto possibile, la complementarietà tra pubblico e privato di fronte alla complessità dei temi migratori.

Radicamento delle ong. Le ong umanitarie non vivono in un mondo a parte. Sanno leggere e interpretare la realtà nella sua complessità, perché sono abituate a farlo, in Italia e nei contesti di povertà e di conflitto nel mondo, cercando di trovare risposte adeguate ed efficaci ai problemi. Costante è la tensione ad esserci (con gli affamati, i profughi in fuga da guerre e catastrofi, nelle grandi periferie urbane dove si lotta per la sopravvivenza, nelle aree rurali dimenticate, nelle ricostruzioni, in mare), analizzando, intervenendo, condividendo.

L’atteggiamento delle istituzioni. Ciò che è parso assurdo, a partire dal ‘pull factor’ di Frontex fino alle audizioni parlamentari con i sospetti e le accuse spesso strumentali e un po’ a vanvera, è stato l’atteggiamento supponente di alcune istituzioni che hanno evitato un vero confronto e dialogo con le ong per approfondire e trovare soluzioni condivise ai problemi posti. La linea dominante è stata a lungo quella dell’infamante ipotesi di connivenze con i trafficanti e del ‘o si adeguano o saranno impedite di operare’, che tanto piace alla presidenza del Comitato parlamentare Shengen.

Valori di umanità e solidarietà. Essendo composte da esseri umani, le ong umanitarie possono fare errori; ma anche su di essi basano il continuo sforzo per migliorarsi e migliorare la propria azione. Se non è così è perché non di ong umanitarie e solidaristiche si tratta; ed è alquanto facile, volendo, rendersene conto. Nel Mediterraneo centrale hanno saputo esprimere e mantenere alti i valori di umanità e solidarietà che hanno fatto grandi l’Italia e l’Europa ma che una larga parte della politica sembra stia ormai perdendo, incurante delle conseguenze per la società e il vivere comune.

Necessità di confronto e dialogo. Sedersi intorno ad un tavolo, ong e istituzioni, per evidenziare i problemi, esaminarli, capirli, individuare le giuste e idonee soluzioni partendo dai principi umanitari, dal valore della vita umana, dalle reali esigenze dei soggetti istituzionali, sarebbe stata la via migliore, quella che le ong seguono normalmente nei contesti di crisi coordinandosi con i soggetti coinvolti. Si è preferita la strada della contrapposizione e della pretesa subalternità delle ong a decisioni che rischiano di essere dettate da scelte discutibili per il grado di disumanità che possono contenere e ad obiettivi estranei alle loro finalità. Strano modo di agire, data l’apertura alla collaborazione ogniqualvolta il dialogo con le istituzioni è stato rispettoso, aperto, costruttivo.

Interlocutori o sudditi? Anche una persona seria, competente, che ha dimostrato capacità di dialogo e di lavoro di squadra nel lungo e proficuo impegno contro la criminalità organizzata, come il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, ha sottovalutato questo aspetto. Durante l’audizione al Comitato Shengen il 31 maggio scorso, ha fatto riferimento alle ong che si trovano ad operare “in stato di necessità” nel quale “la salvaguardia delle vite umane prevale su tutto” e che “dovrebbero accettare delle regole che ci consentano al tempo stesso di salvare vite umane e di procedere ad accertare elementi utili alle indagini”. Inaspettatamente per chi ha ascoltato l’audizione, ha proseguito passando in modo sbrigativo a “come noi vorremmo coinvolgere nelle prossime riunioni i rappresentanti della polizia e della guardia costiera libica, per cercare di instaurare con loro una collaborazione”. Giusto, ma ci si sarebbe aspettato, prima di passare ai libici, un: ‘coinvolgere le ong per approfondire le possibilità applicative delle regole che intendiamo introdurre’, come sarebbe logico e soprattutto giusto per non trattare i soggetti non istituzionali, anche involontariamente, come semplici sudditi esecutori, specie quando svolgono un difficile lavoro di supplenza che dovrebbe essere garantito dallo Stato.

Strategia ampia e coerente. Un prima riflessione deve riguardare il principale punto emerso, che non da oggi è all’attenzione delle ong: come far sì che dei doverosi soccorsi in mare non ne approfittino i trafficanti organizzando arrivi massicci di migranti lungo le coste nordafricane, aumentando le loro azioni criminali, imponendo indicibili sofferenze, lucrando su viaggi sempre più rischiosi, incrementando le morti. La rete di Ong LINK 2007 l’aveva evidenziato nella nota “Immigrazione e asilo. Dal piano del Viminale al programma del Governo” diffusa il 17 gennaio scorso. Il clima avvelenato degli scorsi mesi ha interrotto l’approfondimento, che è necessario ora riprendere e sviluppare, cercando di inserire i singoli aspetti in una strategia ampia e coerente. E’ l’unica via, a nostro avviso, che può dare risultati. E che può rappresentare la cornice entro la quale valutare anche i possibili compromessi richiesti dalla gravità della situazione, come le ong sono spesso chiamate a fare, di fronte a difficili dilemmi, al fine di salvare e proteggere vite umane.

Alcuni spunti di riflessione. Grande è stato lo sforzo del governo italiano che ha dimostrato in questi anni quel senso di solidarietà umana che è mancato a molti paesi europei: va riconosciuto e apprezzato. Il passo più importante, quello che potrebbe colpire in modo risoluto i traffici di esseri umani, non è però stato fatto. Timidamente si sono aperte le porte ai corridoi umanitari ma continua ad essere esclusa ogni altra possibilità di ingresso legale e regolato in Italia, incrementando così (ecco il vero pull factor) i traffici illegali, con lo sfruttamento disumano che li accompagna, le crescenti morti in mare e le difficoltà di inserimento in Italia. La politica dei due tempi: prima il contenimento e poi le regole per gli ingressi non può funzionare. Tornando al dovere di salvare le vite e di contrastare i traffici di esseri umani, di seguito alcuni spunti di riflessione e proposta. Si tratta di considerazioni basate anche sull’esperienza vissuta in contesti di crisi dove l’intervento umanitario ha significato protezione, dignità, speranza per molte persone, ritorno alla normalità della vita.

1. L’imperativo di esserci. Le ong sono intervenute in mare dopo aver valutato l’inadeguatezza dell’intervento pubblico, italiano e europeo, a seguito della chiusura dell’encomiabile operazione Mare Nostrum nell’ottobre 2014. Gli attuali cinquemila morti all’anno e gli almeno tredicimila accertati da quel terribile 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa rappresentano una carneficina che deve interrogare tutti, non solo le ong. Di fronte al ritiro delle istituzioni e alle scelte securitarie e di corto respiro dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, hanno voluto esserci, con una dozzina di navi alla ricerca, talvolta disperata, di bambini, donne e uomini in balia delle onde. Per le ong umanitarie è stato ed è un imperativo.

2. Coordinamento. Le ong agiscono in mare coordinandosi con i soggetti istituzionali preposti, in particolare la guardia costiera e le capitanerie di porto, scambiando informazioni e ricevendo l’indicazione del “porto sicuro” verso cui dirigersi. Agiscono nell’osservanza delle prescrizioni nazionali e internazionali sulla ricerca e il salvataggio in mare, che prevedono anche il loro stesso superamento in caso di grave e urgente necessità per la vita delle persone. Altre forme di coordinamento, se richieste, possono essere prese in considerazione. L’importante è che da parte delle istituzioni vi sia chiarezza sul tipo e sulle modalità del coordinamento richiesto, che rappresenti un reale valore aggiunto, come per esempio avviene in contesti internazionali con Ocha o altre agenzie dell’Onu, e non costituisca un freno alle attività umanitarie delle ong né un’alterazione del loro mandato umanitario.

3. Informazioni. Oltre ai regolari scambi informativi delle ong con la guardia costiera sui salvataggi, può essere possibile rispondere all’esigenza, recentemente manifestata, di far conoscere alle competenti istituzioni la provenienza delle chiamate di soccorso che arrivassero tramite turaya o eventualmente dalla Libia. In realtà si tratta più di ipotesi, evidenziate in sede parlamentare e giudiziaria, che non di realtà vissuta dalle ong in questi mesi. Due sono comunque i punti a cui prestare attenzione: 1) l’obbligo di riservatezza da parte delle ong riguarda il loro mandato umanitario e quindi l’impossibilità di fornire dati che possano compromettere la vita, la libertà, la sicurezza di persone perseguitate e con diritto di protezione ai sensi delle convenzioni internazionali e dei principi umanitari; non riguarda certo informazioni utili alla lotta al crimine e alla salvezza di persone schiavizzate, torturate e abusate; 2) ma al tempo stesso non si può non tener conto che alcune delle ong nel Mediterraneo sono operative anche in molti paesi dove l’azione impone l’assoluta indiscutibilità dei principi umanitari di neutralità e indipendenza e dove anche solo il sospetto di fornire informazioni, per averlo fatto in altre situazioni, è inammissibile oltre che rischioso. Toccherà quindi alle singole ong valutare e decidere responsabilmente in merito, in base al proprio mandato.

4. Distruzione dei natanti. Non è compito delle ong umanitarie distruggere le imbarcazioni dei trafficanti utilizzate dai naufraghi. Tocca alle forze di controllo militari e di polizia, come di fatto normalmente avviene. Anche su questo punto, però, alcune cose potrebbero essere fatte, ad esempio per garantire l’immediata distruzione di piccole imbarcazioni o di gommoni abbandonati dai migranti salvati. Ma occorrerebbe poter valutare con attenzione tale possibilità in un confronto ong-istituzioni che tenga conto delle rispettive esigenze, partendo sempre dai limiti imposti dal mandato umanitario. Nell’azione di contrasto al crimine si dovrà inoltre tenere presente che i trafficanti tenderanno a trovare nuove forme di trasporto, sempre più precarie, rischiose e portatrici di morte.

5. Accertamenti utili alle indagini. E’ stato rilevato da alcune procure che la presenza sulle navi delle ong di funzionari abilitati agli accertamenti giudiziari potrebbe, senza rallentare il salvataggio, favorire l’azione di contrasto al traffico di esseri umani, grazie alla tempestività nell’individuazione di elementi di prova utili. Ciò potrà riguardare, ovviamente, solo le navi battenti bandiera italiana. Lo Stato decida ciò che ritiene giusto, doveroso ed efficace per combattere la criminalità e ogni forma di sfruttamento e disprezzo della dignità umana. Non potrà però pretendere ong embedded, incorporate nelle attività investigative, come non potranno mai essere travisati il loro mandato umanitario e la loro indipendenza. Se ciò dovesse essere imposto, senza un serio confronto con le ong e un’attenta considerazione delle loro ragioni, le pubbliche istituzioni dovranno anche essere pronte ad assumere la responsabilità delle conseguenze delle loro decisioni.

6. Qualità e professionalità. Sull’intenzione di adottare criteri di verifica delle capacità, qualità e trasparenza delle ong umanitarie, manifestata a seguito delle audizioni, non dovrebbero esserci obiezioni. Le ong sono infatti normalmente valutate nella loro consistenza e nel loro lavoro quando intervengono in contesti di crisi che richiedono risposte umanitarie di qualità e basate su standard minimi che non possono essere ignorati o disattesi. Va al contempo riconosciuto che qualsiasi ong operante attualmente nel Mediterraneo è indubbiamente più attrezzata e capace di risposta rispetto a qualsiasi nave commerciale, alla quale non è richiesto alcun previo standard di qualità nei salvataggi a cui dovesse essere chiamata.

Pochi punti, sperando che contribuiscano alla consapevolezza che le semplificazioni e le strumentalizzazioni, su temi complessi come quelli che riguardano la vita, la morte e la dignità delle persone, non aiutano.

 

Pubblicato anche in:

OnuItalia.com

Repubblica.it

Allegati:

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)