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08 Gen 2017

DAL MIGRATION COMPACT AL PIANO EUROPEO PER GLI INVESTIMENTI NEI PAESI TERZI

Scritto per la Rivista “Atlantide”, periodico della Fondazione per la Sussidiarietà. Gennaio 2016. http://atlantide.ilsussidiario.net/)

Il Migration Compact proposto dal presidente Renzi.   

«L’esplosione della crisi migratoria ha evidenziato la necessità di superare la frammentazione degli strumenti di azione esterna dell’Ue e di aggiornare l’Approccio Globale in materia di migrazione e mobilità[1], rivedere il partenariato Ue-ACP[2] e sviluppare ulteriormente i percorsi offerti dal Piano d’azione di La Valletta[3], dall’accordo Ue-Turchia[4] e dai dialoghi che l’Ue sta promuovendo a livello regionale». È uno dei punti centrali del “Migration Compact, Contribution to an EU strategy for external action on migration”, che il presidente Matteo Renzi ha allegato alla lettera inviata il 15 aprile 2016 ai presidenti del Consiglio Europeo Donald Tusk e della Commissione Europea Jean-Claude Juncker[5], come «contributo di pensiero su un possibile percorso per migliorare l’efficacia delle politiche migratorie esterne dell’Ue».

La proposta italiana ha il merito di uscire dall’approccio eurocentrico nell’affrontare il tema delle migrazioni, collegando la dimensione politica interna, spesso vissuta in modo emergenziale, a quella esterna, ai problemi strutturali dello sviluppo, al superamento delle cause che provocano l’emigrazione, al sostegno ai paesi terzi nella protezione dei migranti, nel controllo delle frontiere e nella lotta al traffico di esseri umani. In essa Renzi mette in evidenza quanto, con specifici accordi (compact), l’Ue può offrire e può chiedere ai paesi da cui partono e transitano i migranti. Nel farlo, riprende, sviluppa e fa proprie idee elaborate nei mesi precedenti dalla Commissione e dal Seae, Servizio europeo per l’azione esterna presieduto da Federica Mogherini. Tra queste spicca la proposta di un piano di investimenti nel continente africano, simile a quello elaborato dalla Dg Sviluppo e rimasto inspiegabilmente fermo negli uffici bruxellesi per vari mesi.

Tra quanto l’Ue può offrire, Renzi ricorda in particolare:

  1. i) progetti di investimento ad alto impatto sociale e infrastrutturale e iniziative di capacity building con relativa fornitura di attrezzature e tecnologia;
  2. ii) cooperazione in materia di sicurezza;

iii) opportunità di migrazione legale, formazione, lavoro, integrazione professionale e sociale negli Stati membri ospiti, possibilità di migrazione circolare;

  1. iv) programmi di reinsediamento nell’Ue come compensazione dell’onere per quei paesi che si impegnano nella creazione di sistemi nazionali di asilo in linea con gli standard internazionali.

Mentre l’Ue potrebbe chiedere in cambio:

  1. i) impegno sul controllo delle frontiere, riduzione dei flussi verso l’Europa, attività di soccorso, lotta contro la tratta di esseri umani e il traffico di migranti;
  2. ii) cooperazione sui rimpatri, accordi per l’identificazione e il rilascio di documenti di viaggio, sviluppo di database biometrici e sistemi informatici per i registri civili;

iii) migliore gestione della migrazione, creazione di sistemi di ricezione di profughi, esame in loco dei rifugiati e dei migranti economici, misure di reinsediamento in Europa per chi necessita protezione internazionale e rimpatri per i migranti irregolari;

  1. iv) creazione di sistemi nazionali di asilo in linea con gli standard internazionali, garantendo protezione alle persone in collaborazione con organizzazioni quali l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Le preoccupazioni e i dubbi suscitati dal Migration Compact

Da più parti, nel mondo del sociale, della cooperazione internazionale e della difesa dei diritti umani, accanto all’apprezzamento dell’iniziativa italiana sono state evidenziate critiche e preoccupazioni. Le principali, che in parte riprendono quelle espresse sul Piano d’azione di La Valletta e il relativo Fondo fiduciario europeo d’emergenza per l’Africa[6] teso a intensificare la cooperazione in materia di migrazione, possono essere così sintetizzate:

– non sono prese in considerazione questioni fondamentali relative alla cause profonde delle  migrazioni, tra cui: estreme disuguaglianze, concentrazione di ricchezze e di potere in poche mani a fianco di ampia diffusione di povertà e marginalità, accaparramento delle terre, mancanza di libertà e democrazia, persecuzioni da parte di regimi oligarchici, dittatoriali sostenuti spesso da governi europei per interessi economici, corruzione, sfruttamento incontrollato e distruzione dell’ambiente e dell’habitat umano;

– rimangono intatte le incoerenze della politica estera e di sicurezza europea e degli Stati membri rispetto ai valori, ai principi, ai diritti fondamentali, alle opzioni politiche alla base dell’Unione e alla doverosa solidarietà tra gli Stati membri; tali incoerenze impediscono una vera politica estera comune, paralizzano l’Ue di fronte a scenari di guerra che producono tragedie umane e gravi esodi migratori, aggravano le politiche interne che non riescono a definire una strategia comune e solidaristica nelle politiche di immigrazione e di accoglienza;

– esiste un concreto rischio di piegare le politiche di cooperazione allo sviluppo e quelle di vicinato alle finalità della sicurezza, del controllo e del contenimento dell’immigrazione, dell’accoglienza, dei ritorni e delle riammissioni, sottraendo quindi risorse destinate alla lotta alla povertà e allo sviluppo e privilegiando i partenariati con i paesi di origine e di transito dei  migranti;

– poca attenzione è data alla necessità di sostenere i governi impegnati nella difficile transizione democratica e nella costruzione dello stato di diritto, il cui fallimento avrebbe indubbie conseguenze sull’emigrazione e sulla stessa sicurezza;

– manca ogni riferimento alla società civile organizzata e alle indispensabili sinergie con la cooperazione non governativa non profit e tra società civili e comunità.[7]

Dal Migration Compact al quadro europeo di partenariato con i paesi terzi

Fin qui la proposta italiana. Più che innovativa, è stata un utile strumento di accelerazione e di puntualizzazione di idee che stavano circolando nelle istituzioni europee. Tanto che la Commissione Europea (CE), in meno di due mesi, ha delineato nuove linee strategiche nella Comunicazione 385 del 7 giugno 2016 dal titolo “Stabilire un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulle migrazioni[8], proponendo anche un piano di investimenti in tali paesi, come indicato nel Migration Compact italiano.[9] Pochi giorni dopo, il 28 giugno, il Consiglio dei capi di Stato e di Governo ha chiesto che fosse presentata, su tale piano, una “proposta ambiziosa” entro settembre 2016.

La CE ha puntualmente pubblicato, il 14 settembre 2016, la Comunicazione 581[10] che imposta e descrive, nella sua seconda parte, il nuovo Piano di investimenti esteri  e la 586[11] che propone un atto legislativo per regolarne le modalità di finanziamento e di garanzia: “Regolamento sul Fondo Europeo per lo Sviluppo Sostenibile e l’istituzione della relativa Garanzia e del relativo Fondo di Garanzia”. La proposta di regolamento è stata successivamente vagliata e ritoccata con contributi della stessa presidenza della CE e delle altre istituzioni europee: il Parlamento, il Consiglio e gli Stati membri, la Banca centrale europea, il Comitato economico e sociale, il Comitato delle regioni, la Banca europea degli investimenti (Bei).

Il Piano europeo di investimenti esteri con l’istituzione del relativo Fondo (EFSD, European Fund for Sustainable Development) e della relativa Garanzia non sono l’attuazione di quanto proposto dall’Italia ma rappresentano certamente quel potenziale ed efficace strumento di sviluppo nei paesi di provenienza e di transito dei migranti a cui il presidente Renzi ha fatto riferimento indicando “progetti di investimento ad alto impatto sociale e infrastrutturale da identificare con il Paese partner come incentivo cruciale per rafforzare la cooperazione con l’Ue” sui temi legati alle migrazioni, alla sicurezza, alla protezione dei migranti e alla lotta al traffico di esseri umani. Investimenti per superare la povertà e per lo sviluppo in cambio di una cogestione dei fenomeni migratori.

Il Piano propone nuovi accordi di partenariato con i paesi dell’Africa sub sahariana e con quelli del Vicinato (particolarmente Africa settentrionale e Vicino Oriente). Esso si basa essenzialmente su una più forte integrazione degli strumenti esistenti, con tre innovazioni finalizzate a migliorare nei paesi partner le condizioni per lo sviluppo delle attività imprenditoriali e la creazione di posti di lavoro dignitosi e stabili, definire le iniziative in modo coerente e coordinato, facilitare gli interventi nelle aree a maggiore rischio per gli investimenti. Il framework integra istituzioni pubbliche e settore privato, fondi pubblici e fondi privati, investitori pubblici e investitori privati, con attenzione alle riforme necessarie per combattere gli ostacoli al sano sviluppo dell’imprenditoria e della governance economica.

Il fatto che si riorientino a questo scopo risorse finanziarie già destinate alla cooperazione allo sviluppo e alle politiche di vicinato, con un modesto apporto di nuovi fondi, può costituire una mutazione genetica, come è stato evidenziato da molti osservatori e attori della cooperazione internazionale? Il rischio è reale. Sembra però attenuato dalla parallela decisione di mantenere un forte ruolo strategico e gestionale nelle due Direzioni generali ‘Sviluppo’ e ‘Vicinato’ e non delegare la direzione strategica e la gestione alla sola Bei, come invece alcuni Stati membri, i loro ministeri delle Finanze e la stessa Bei auspicavano, rischiando di stravolgere il senso politico dei partenariati che devono basarsi su rapporti di equità, umanità e fiducia (che richiede tempo e attento lavoro politico e diplomatico) ed essere coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030[12]. Occorrerà quindi seguire con attenzione l’attuazione dei partenariati e vigilare sul piano di investimenti.

Il Piano europeo, il Fondo per lo sviluppo sostenibile e le Garanzie

Nelle due Comunicazioni la CE ricorda come nel mondo siano più di 60 milioni le persone emigrate in cerca di una vita migliore; che il Nord Africa e il Medio Oriente ne stanno accogliendo il 40% e l’Africa sub sahariana un altro 30%. Si tratta di regioni con paesi colpiti da problemi economici e sociali, disoccupazione, forte crescita demografica, aggravati spesso da tensioni politiche e militari: tutte condizioni che favoriscono le migrazioni. Viene quindi proposto un “ambizioso Piano di investimenti esteri” che “affronti i fattori che costituiscono le principali cause della migrazione e quelli che pesano particolarmente sui paesi di transito”.

La connessione tra i problemi dello sviluppo e la spinta all’emigrazione è indubbia: la povertà, specie se vissuta da chi ha acquisito istruzione, conoscenze ed una nuova visione del mondo e delle possibilità di vivere in condizioni migliori, è uno dei principali fattori che spingono ad emigrare. Ma l’approccio europeo sembra non tener sufficientemente conto della nuova mobilità internazionale correlata alla globalizzazione e della molteplicità e complessità dei fattori che provocano in modo crescente le migrazioni odierne. È inoltre provato che, in un paese povero, è proprio l’azione per una maggiore crescita e un migliore sviluppo (quindi maggiore istruzione e maggiore capacità di iniziativa e di spesa) che favorisce l’emigrazione, almeno fino a quando lo sviluppo non sia percepito tale da soddisfare adeguatamente le aspettative personali e familiari.[13]

Il Piano di investimenti nei paesi terzi è in parte complementare ma anche decisamente diverso dal Piano d’azione di La Valletta col relativo Fondo fiduciario per le emergenze in Africa legate alle migrazioni e all’instabilità[14]. Si presenta innovativo per la sua focalizzazione sugli investimenti in paesi particolarmente colpiti dal fenomeno migratorio in Africa e nei paesi del Vicinato ma anche per la valorizzazione del protagonismo imprenditoriale, la voglia di intraprendere, di investire mettendoci del proprio e rischiando, nella consapevolezza di poter rispondere, come impresa, ad un bisogno vero di sviluppo e di nuova occupazione. ‘Addizionalità’ è quanto viene richiesto alle imprese. è cioè lo spirito imprenditoriale che l’Ue sollecita per creare sviluppo, per moltiplicare le occasioni di lavoro duraturo e dignitoso e le professionalità necessarie per uscire dalla povertà e intervenire sulle cause profonde dell’emigrazione. E vengono messe a disposizione strumenti finanziari, garanzie sovrane e assistenza tecnica, riorientando a questo preciso scopo significative risorse finanziarie.

Si tratta di una dimensione della cooperazione internazionale allo sviluppo che coincide con la valorizzazione della capacità d’iniziativa dei soggetti profit che la recente legge italiana 125/2014 affianca a quelli non profit e quelli istituzionali in una prospettiva di sistema[15], quella che può maggiormente garantire risultati complessivi e sostenibili nei rapporti di cooperazione allo sviluppo. Le imprese italiane dovranno saper ritrovare l’ambizione di investire nei paesi africani e mediterranei, di rischiare, guardando al futuro e non solo ai benefici immediati, per uno sviluppo condiviso e sostenibile. Anche per questo le Ong della rete “Link 2007” hanno promosso lo scorso Ottobre un momento di approfondimento sul Piano europeo di investimenti esteri, coinvolgendo alcune Direzioni generali del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (Maeci), l’Agenzia, la Cassa depositi e prestiti, varie imprese ed alcuni istituti di credito.[16]

L’EFSD, il Fondo per gli investimenti esteri, dovrebbe avere una prima dotazione di € 3,35 miliardi per il quadriennio 2017-2020. Essi comprendono una garanzia di 750 milioni a copertura dei rischi, a cui saranno aggiunti altri 750 milioni di garanzie da parte degli Stati membri o, in carenza, del bilancio europeo, portando così il Fondo a complessivi € 4,05 miliardi. Non siamo di fronte alla quantità finanziaria richiesta per realizzare quel “piano Marshall” da più parti considerato vitale per buona parte del continente africano: si tratta infatti di una somma corrispondente a poco più del 5% dei fondi complessivi destinati a Cooperazione allo sviluppo, ACP e Vicinato. Rappresenta comunque un significativo strumento per un periodo di spesa di quattro anni, anche come incentivo per favorire investimenti nei paesi partner e in particolare negli Stati fragili poco appetibili per le difficoltà dei contesti e i rischi per gli investitori. Notevole è l’effetto leva previsto, capace di attrarre e attivare prestiti e altre forme di investimento pubblico e privato, nazionale o internazionale, con un realistico indice moltiplicatore di 11 volte, pari quindi a nuovi investimenti per 44 miliardi di euro.

Ampi sono i settori di intervento che il Regolamento indica: infrastrutture, energia, acqua, trasporti, tecnologie dell’informazione e comunicazione, ambiente, infrastrutture sociali, istruzione e formazione, agricoltura, attenzione agli ecosistemi e all’ambiente, salute, accesso delle micro, piccole e medie imprese ai finanziamenti, creazione di occupazione con attenzione ai giovani e alle donne. Ed è esplicitato che in ogni programma settoriale dovrà essere data primaria attenzione alla lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali, allo sviluppo sostenibile e inclusivo, alla stabilità del lavoro dignitoso.

.     Per quanto riguarda l’Italia, c’è un rilevante spazio per la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) a cui la legge 125/2014 affida la gestione degli strumenti finanziari della cooperazione internazionale per lo sviluppo. Essa potrà utilizzare a pieno titolo il blending comunitario per integrare la propria capacità di promozione degli investimenti nei paesi africani e mediterranei prioritari per l’Italia. Ma è auspicato un rilevante spazio anche per altri Istituti di Credito, nelle loro diverse dimensioni e finalità.

Il sistema della Cooperazione italiana dovrà procedere in modo speculare a quello europeo dell’EFSD. Le iniziative italiane inserite nel piano europeo di investimenti dovranno fare capo all’Agenzia con la sua articolazione nei paesi partner e alla Direzione Generale per la cooperazione allo sviluppo con la collaborazione tecnica di CDP, sotto la direzione politica e strategica del Viceministro delegato o del Ministro. La struttura dell’EFSD si compone infatti da un lato di un Consiglio strategico che è presieduto dai rappresentanti della CE e dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri ed è composto dagli Stati membri e dalla Bei nel suo ruolo di istituzione finanziaria dell’Ue, e dall’altro di due Comitati di gestione per le due Piattaforme regionali Africa e Vicinato, al fine di garantire l’aderenza degli investimenti ai bisogni reali e l’efficacia dei risultati nei paesi partner.

Assistenza tecnica, governance economica e contesto imprenditoriale

Un’adeguata disponibilità di fondi sarà impegnata per l’assistenza tecnica di cui gli investitori avranno bisogno al fine di migliorare nei paesi partner le condizioni per lo sviluppo delle attività imprenditoriali e la creazione di occupazione, attrarre investimenti, identificare le opportunità, sostenere il settore privato locale nelle sue articolazioni (rappresentanze di imprese, in particolare delle PMI, di quelle femminili e del settore informale, camere di commercio, partner sociali) e rafforzare il dialogo pubblico-privato.

Il miglioramento della governance economica e del contesto imprenditoriale sarà attuato attraverso il rafforzamento del dialogo politico tra l’Ue e i paesi partner sulle politiche economiche e sociali al fine di sviluppare, con i necessari strumenti formativi, un quadro di riferimento legale, politiche e istituzioni più efficaci e promuovere stabilità economica e crescita inclusiva. Da un migliore contesto imprenditoriale, dinamico e favorevole agli investimenti nei paesi partner trarrebbero beneficio sia il settore privato locale che le imprese europee che intendono investire.

Per riuscirci dovranno essere esplicitate regole e linee guida per gli investitori internazionali e dovrà esserne verificata l’attuazione. Esistono i principi guida delle Nazioni Unite su impresa e diritti umani[17] e soprattutto le linee guida dell’OCSE per gli investimenti internazionali[18]: oltre ad essere vincolanti per gli Stati che le hanno firmate, tra cui l’Italia e molti altri Stati europei, la loro adozione negli investimenti nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo si impone, anche al fine della coerenza con le sue finalità e con l’Agenda 2030 sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Uno dei problemi chiave sarà quello della corruzione, concepita spesso come elemento strutturale dello ‘sviluppo’ economico. Su questo punto sarà necessario non arrendersi e mettere in atto, oltre alla formazione, una maggiore e più severa e efficace vigilanza istituzionale e della società civile.

Sinergie profit – non profit e vigilanza

Il settore non profit, a partire dalle Ong presenti nei paesi partner e dalle organizzazioni delle diaspore provenienti da quegli stessi paesi, dovrebbe essere pienamente coinvolto per accompagnare, grazie all’esperienza acquisita e alle conoscenze, il sistema profit nel rispetto dei requisiti di sostenibilità sociale e ambientale, dei diritti umani e del lavoro, delle aspirazioni delle comunità e nel rispondere pienamente alle esigenze dei paesi partner. Il Regolamento non lo esplicita in modo chiaro, anche se vari punti riprendono la necessità dell’integrazione di tutte le risorse direttamente o indirettamente impegnate nei partenariati con i paesi terzi.

Per tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti dovrà in ogni caso primeggiare la dimensione della cooperazione e del partenariato per uno sviluppo reciproco, che non si limiti all’immediato ma sappia proiettarsi nel futuro. Il business e il profitto – che deve esserci, trattandosi di impresa – devono quindi sapersi intrecciare in modo indissolubile con le finalità dello sviluppo, umano, sostenibile, duraturo. Coscienti che non potrà esserci sviluppo senza educazione, senza possibilità di curarsi, senza coesione sociale, senza sostenibilità ambientale, senza giustizia sociale e economica, senza rispetto dei diritti e della dignità delle persone. Spetterà in particolare ai soggetti della società civile riuscire a sviluppare e favorire il dialogo con le istituzioni e il sistema delle imprese perché i principi della cooperazione e del co-sviluppo guidino ogni investimento, mantenendo l’occhio vigile su tutta l’attuazione del Piano di investimenti esteri.

 

[1] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52008DC0611&from=IT 

[2] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=URISERV:r12101&from=IT

[3] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00948084.pdf

[4] https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2016/IT/1-2016-231-IT-F1-1.PDF

[5] http://www.governo.it/articolo/immigrazione-la-proposta-dellitalia-alla-ue/4509

[6] http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6055_it.htm

[7] Si veda la lettera di Concord-Italia al presidente Renzi, http://www.vita.it/it/article/2016/04/29/migration-compact-caro-matteo-giusta-la-direzione-ma-ci-vuole-coerenza/139194/

[8] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52016DC0385&from=IT

[9] Su tale Comunicazione le Ong della rete Link 2007 hanno evidenziato la necessità che nell’attuazione dei nuovi partenariati l’Ue garantisca la massima coerenza con le politiche di cooperazione allo sviluppo e di vicinato, http://www.link2007.org/press/link-2007-sui-compact-migratori-europei/

[10] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016DC0581&from=IT

[11] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016PC0586&from=IT

[12] http://www.unric.org/it/agenda-2030

[13] Sul tema, Link 2007: Migrazioni e Cooperazione internazionale per lo sviluppo. Analisi e spunti di riflessione, 2014),  http://www.link2007.org/wp-content/uploads/2016/11/IMMIGRAZIONECOOPERAZIONEINTERNAZIONALE.pdf

[14] http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-15-6056_it.htm

[15] http://www.agenziacooperazione.gov.it/?page_id=3819

[16] http://www.link2007.org/press/piano-europeo-per-gli-investimenti-in-africa-e-nel-mediterraneovicino-oriente/

[17] http://www.ohchr.org/Documents/Publications/GuidingPrinciplesBusinessHR_EN.pdf

[18] https://www.oecd.org/daf/inv/mne/MNEguidelinesITALIANO.pdf

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)