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ONG
13 Apr 2017

COLPIRE LE ONG PER COLPIRE I SALVATAGGI IN MARE

Da qualche mese è andato crescendo, su più fronti, un attacco alle Ong impegnate nel Mediterraneo centrale in operazioni di salvataggio di persone in grave pericolo di affondamento. I cinquemila morti nei naufragi all’anno stanno diventando una normalità, così come l’assuefazione a queste tragedie. Ma c’è chi nella società, nella politica e nei media non accetta questo tipo di “normalità”: sono molti, anche se il loro rumore è meno forte di quello sguaiato e grossolano di tanti che, senza avere alcun progetto realizzabile e soprattutto senza alcuna visone e strategia politica, riesce ad esprimere solo il rifiuto di guardare la realtà e di affrontarla salvaguardando i valori cristiani e illuministici, di giustizia, solidarietà, umanità che sono alla base della nostra convivenza. In particolare, alcune Ong hanno voluto esserci, di fronte al ritiro delle istituzioni e alle scelte securitarie e di corto respiro dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Sono Ong italiane, tedesche e spagnole che hanno messo in mare una dozzina di navi alla ricerca, talvolta disperata, di bambini, donne e uomini in balia delle onde. E’ un’azione che sta dando fastidio a chi, pur di limitare gli arrivi, è disposto a chiudere gli occhi sulle morti e, in definitiva, sul destino della nostra civiltà e dei suoi valori; a chi vorrebbe le Ong totalmente subalterne a scelte politiche disumane e embedded nel loro agire. Ecco perché l’attacco viene soprattutto da istituzioni, da partiti politici e da media sempre pronti a cavalcare la sensazione senza mai procedere alle necessarie verifiche. Ma vediamo di riprendere le tappe principali di questi ultimi mesi.

La Fondazione olandese Gefira pubblica un articolo, il 15 novembre 2016, in cui sostiene che «Ong, scafisti e mafia, in accordo con l’Unione europea, hanno trasportato migliaia di migranti illegali in Europa con il pretesto di salvare vite umane, assistiti dalla Guardia costiera italiana che ne coordinava le attività». Le 15 navi monitorate per due mesi (utilizzate da MOAS, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Medici senza Frontiere, Save the Children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch, Sea-Eye e Life Boat) «sono state viste regolarmente lasciare i porti italiani, dirigersi a Sud, fermarsi a poca distanza dalla costa libica, prelevare il loro carico umano e ripercorrere le 260 miglia verso l’Italia, benché il porto di Zarzis in Tunisia distasse solo 60 miglia … Le reali intenzioni di chi sta dietro alle Ong non sono chiare. Non ci sorprenderebbe se la loro motivazione fosse il denaro».

Il Financial Times rivela, il 15 dicembre 2016, di essere in possesso di un rapporto interno di Frontex nel quale l’Agenzia europea che gestisce e controlla le frontiere dell’Ue lamenta collusioni con i trafficanti di esseri umani sulle rotte migratorie tra Libia e Italia. I migranti riceverebbero «chiare indicazioni prima della partenza sulla direzione precisa da seguire, per raggiungere le imbarcazioni delle Ong». Frontex affermava inoltre che è stato perfino registrato un «primo caso in cui le reti criminali hanno trasportato i migranti direttamente sull’imbarcazione di una Ong» (senza però mai specificare quale) e che in generale le Ong non collaborano nella raccolta delle prove per le indagini sui trafficanti.

Il rapporto Risk Analysis for 2017 di Frontex, pubblicato il 15 febbraio 2017, riprende la costruzione di Gefira e i contenuti del rapporto interno rivelati dal Finacial Times, affermando che le navi delle Ong, spingendosi fino alle acque territoriali libiche, si prestano a fare da taxi per i migranti, «inducono i trafficanti a una pianificazione e agiscono da pull factor (fattore di richiamo), aggravando le difficoltà inerenti al controllo delle frontiere e al salvataggio in mare … La presenza e l’attività delle Ong in prossimità e occasionalmente all’interno delle 12 miglia di acqua territoriali libiche è raddoppiata in confronto all’anno precedente. Parallelamente, il numero complessivo degli incidenti è aumentato in modo drammatico … Attraversamenti pericolosi su imbarcazioni inadatte e sovraccariche sono stati organizzati allo scopo principale di essere individuati dalle navi di Eunavfor Med/Frontex e delle Ong. Aumentando le probabilità di successo, tutte le parti coinvolte in operazioni di salvataggio sembrano aiutare involontariamente i criminali a raggiungere i propri scopi al minimo costo, rafforzando il loro modello di business». Si insinua perfino che «verrebbero date chiare istruzioni prima della partenza sulla direzione da seguire per raggiungere le imbarcazioni delle Ong» e si ipotizzano «contatti con gli scafisti».

Il direttore di Frontex Fabrice Leggeri, il 27 febbraio, in un’intervista a “Die Welt” afferma che è proprio il fatto che il 40% delle operazioni di salvataggio siano ormai condotte da Ong a rendere difficoltose le operazioni di indagine e di controllo.

Il giorno successivo il Viceministro Mario Giro replica al direttore di Frontex: «Accusare le Ong che si prodigano a salvare vite nel mare significa accusare la scelta italiana che, fin dall’operazione Mare nostrum – e ora con Mare sicuro – non ha mai smesso di fare search and rescue. Dare la colpa all’ultimo anello della catena è non solo ingiusto ma anche miope: si tratta del solo anello di umanità in una catena di terribili ingiustizie … Chi spiega tutto con presunti pull factors dovrebbe fare un’analisi più seria: l’unico vero pull factor che esiste è la presenza dell’Europa a poche miglia marine dalla costa africana. Frontex vuole forse spostare l’Europa?». E rincara la dose sul Guardian del 5 aprile: «L’Agenzia crea una polemica fuorviante, per scopi interni».

Il 6 marzo il blogger Luca Donadel posta un video sulla sua pagina facebook titolato “La verità sui migranti”,  che è subito diventato virale ed è stato ripreso in varie trasmissioni televisive. Monitorando l’area in cui avvengono i salvataggi, si domanda se tali operazioni siano ancora definibili tali o non piuttosto un servizio taxi che fa risparmiare gli scafisti e agevola implicitamente i trafficanti, se la presenza delle Ong sia effetto o causa dell’altissimo numero di immigrati che arrivano in Italia e, infine, da dove vengono i soldi per finanziare tali operazioni.

Il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, che ha avviato un’indagine conoscitiva sulle Ong che operano nei salvataggi, nell’audizione del 22 marzo presso il Comitato parlamentare Shengen, ha dichiarato la volontà di «capire chi c’è dietro le associazioni umanitarie proliferate negli ultimi anni, da dove vengono tutti i soldi che hanno a disposizione e soprattutto che gioco fanno … Insieme a Frontex e alla Marina militare, stiamo cercando di monitorare queste Ong che hanno dimostrato di avere una grande disponibilità finanziaria … L’altra cosa che vogliamo cercare di capire è se da parte di queste ONG vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana». Pur essendosi premurato di dire che non c’è «nessun fascicolo aperto, ma soltanto un’analisi su un fenomeno che stiamo studiando da tempo», il procuratore Zuccaro non ha lesinato dichiarazioni, quanto meno imprudenti, alla stampa, senza soppesarne l’inevitabile strumentalizzazione. Che Magistratura è mai questa che esternalizza prima di accertare? Nell’intero testo dell’audizione al Parlamento non si trova infatti nulla, proprio nulla, che possa comprovare le supposizioni della Procura, quasi si fosse trattato di una semplice chiacchierata. Chiacchiere a cui politica e media sembrano molto attenti, dato che sembra non interessare la ricerca della verità ma solo la captazione di “notizie” utili a giustificare le proprie predefinite posizioni politiche.

Il procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia, che si occupa da anni di migranti e tratta di esseri umani, in una recente intervista si mostra più prudente. «Ipotizzare un reato è tutt’altro che semplice … Ad oggi non sono comunque emersi reati da giustificare l’adozione di provvedimenti da parte nostra … Se qualcuno va a soccorrere in mare un barcone di migranti, lo fa nello stato di necessità di salvare centinaia di vite umane … in che modo si potrebbe configurare un reato di favoreggiamento quando c’è qualcuno da soccorrere? … Concorso esterno? Entriamo nel fantagiuridico, perché si dovrebbe ricollegare all’agire di chi viene chiamato a soccorrere persone in pericolo di vita».

Anche Frontex, con metodi comunicativi basati si indiscrezioni, fughe di notizie e dichiarazioni, e riuscita ad operare uno stravagante rovesciamento, ripreso alla grande dai media senza alcuna valutazione critica. Eccolo: le morti in mare, mai così alte come nel 2016, non sarebbero da imputare alla progressiva scomparsa delle attività di ricerca e soccorso degli Stati membri Ue ma alla presenza delle navi umanitarie nel Mediterraneo centrale. L’evidente obiettivo è quello di creare un’immagine negativa di tutto ciò che ostacola lo stretto controllo delle frontiere, divenuto prioritario rispetto alla stessa salvezza delle vite umane. D’altra parte l’accusa di fungere da pull factor era stata mossa perfino a Mare nostrum quando, il 4 settembre 2014, l’allora direttore esecutivo di Frontex Gil Arias-Fernandéz, durante un’audizione alla Commissione Libertà Civili del Parlamento europeo, affermò: «Con Mare nostrum il numero degli attraversamenti e degli arrivi era drasticamente aumentato. Temo che abbia costituito un pull factor e che i trafficanti abbiano abusato della vicinanza delle operazioni alla costa libica per mettere più persone in mare nella convinzione che sarebbero presto state messe in salvo».

Ruben Neugebauer, portavoce di Sea Watch, accusa la politica europea: «Non ci vogliono in mare – ha denunciato a Lettera 43 – perché sanno che non solo salviamo vite umane, ma siamo anche un occhio libero e indipendente che monitora quanto sta accadendo in Libia. Mentre all’Ue vogliono eliminare il problema immigrazione facendo in modo che i migranti restino in Libia in condizioni disumane».

Arjan Hehenkamp, ​​direttore generale di MSF, ha spiegato al Guardian come sia «aumentata la retorica e la maldicenza sul ruolo svolto dalle organizzazioni non governative in prima linea nella crisi migratoria, e come questo sia un tentativo di intimidire e screditare questo lavoro e di ridurre anche finanziariamente il supporto in loro sostegno … Se non fossimo presenti, non abbiamo alcun dubbio che il flusso di migranti sarebbe comunque continuato, comportando però un numero maggiore di morti in mare o molti più incidenti causati in operazioni di salvataggio delle navi commerciali». «La verità è che noi in mare non dovremmo proprio esserci – aggiunge Marco Bertotto di MSF Italia ricordando i cinquemila morti del 2016 nel Mediterraneo –  perché toccherebbe all’Europa, ai governi, alla politica creare un meccanismo di soccorso efficiente. Ma fino a quando persone disperate non avranno alternative sicure per entrare in Europa, noi dobbiamo restare in mare per salvarle rispondendo ad un preciso dovere umanitario».

Di dovere parla anche MOAS, Migrant Offshore Aid Station, tramite il portavoce Giulio Marostica: «Finché ci sarà gente talmente disperata da tentare di attraversare il mare sui barconi della morte, noi faremo il possibile per essere in mare e salvare loro la vita, indipendentemente da quali siano le ragioni che spingono queste persone a rischiare la vita. Tutte le nostre operazioni sono condotte sotto l’egida del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma, IMRCC, e seguono le istruzioni delle autorità italiane». E la fondatrice, Regina Catrambone: «A Frontex chiedo dov’erano nel 2014 quando noi, primi fra tutti, siamo scesi in campo a fianco dell’operazione Mare nostrum per salvare vite umane? … Non metto in discussione le indagini della magistratura, anzi siamo felici che ci siano: rispettiamo le regole e ci mettiamo il cuore e in tre anni abbiamo salvato oltre 33mila persone … I nostri bilanci sono tutti certificati e sono pubblicati sul sito del Moas … Siamo stati i primi ad ospitare giornalisti a bordo perché tutto quello che facciamo sia documentato e trasparente».

Valeria Calandra, presidente della sezione italiana di SOS Méditerranée è sorpresa che «la nostra missione, salvare vite, possa essere considerata un ostacolo al contrasto di questo orrendo traffico di vite umane. Noi siamo esclusivamente un’organizzazione umanitaria … Agiamo sulla base delle convenzioni internazionali che prescrivono l’obbligo di soccorrere imbarcazioni in pericolo. Ancora una volta vogliamo sottolineare che non è compito nostro esaminare la posizione dei singoli, stabilire chi abbia diritto di rimanere nel nostro paese perché titolare di protezione internazionale e chi non ne abbia invece i requisiti … Le attività di soccorso in mare sono la risposta della società civile al disastro umanitario che si consuma nel Mediterraneo».

Chiaro il dossier dell’Associazione Diritti e Frontiere (ADIF): “Perché danno fastidio le Ong che salvano i migranti in mare?” «Dopo il sostanziale ritiro dell’operazione Triton di Frontex, in un mare sempre più militarizzato, pattugliato dalla Nato e da Eunavfor Med, a fare search and rescue sono rimaste quasi soltanto le navi umanitarie, insieme alla Guardia costiera italiana ed alla Marina militare italiana con l’operazione Mare sicuro. É forte l’impressione che si voglia evitare di avere testimoni scomodi, soprattutto da quando le guardie costiere libiche, formate a bordo delle navi europee dell’operazione Sophia, in particolare dell’italiana San Giorgio, hanno iniziato a intercettare i gommoni dei migranti, affondarli e riportare le persone ‘soccorse’ in centri in cui sono sottoposte a detenzione arbitraria e violazioni dei diritti, come inequivocabilmente denunciato dal rapporto ONU e da numerosi reportage».

Il ricercatore dell’Università di Oxford Nando Sigona, professore associato all’Università di Birmingham e di Oxford, tra i fondatori della rivista Migration Studies e tra i curatori dell’Oxford Handbook on Refugee and Forced Migration Studies, si domanda in “Open Migration” se non sia «questa la prossima ‘soluzione’ alla crisi dei rifugiati proposta dai politici dell’Ue? Minacciare i volontari per indebolire il sostegno a soluzioni più umane? … La criminalizzazione dei volontari mira a scoraggiare il coinvolgimento della società civile europea, e da ultimo a indebolire e dividere l’ultimo bastione contro una linea dura dell’Ue nei confronti dei rifugiati».

Una certa meraviglia hanno destato le parole del presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre dopo la testimonianza resa dal Procuratore Carmelo Zuccaro il 22 marzo. Annunciando l’avvio di un’indagine conoscitiva, ha affermato che «ci sono troppi punti interrogativi e vogliamo chiarirci, rispondere a qualche curiosità … e chissà che non aiuteranno a svelare qualche magagna». Strano dichiarazioni, in un presidente di Commissione parlamentare. Le Ong sono lì, ben visibili, operano in stretto coordinamento e secondo le indicazioni della Guardia Costiera. Nell’audizione del 6 aprile, l’ammiraglio Enrico Credendino, comandante dell’operazione Sophia che ha il compito di smantellare i traffici, ha confermato che «il coordinamento con Triton, la Nato e le Ong funziona» e che periodicamente sono organizzati forum di tutti gli attori, comprese le Ong, per migliorare le operazioni e coordinare meglio gli interventi. Ci sarebbe voluto poco, quindi, a chiedere alle Ong (magistratura, parlamento, istituzioni) tutte le informazioni che possono fornire chiarezze e certezze: sono ben felici di fornirle, dato che la trasparenza è una componente essenziale della loro esistenza. Finalmente ciò sarà fatto nel ciclo di audizioni della Commissione Difesa: tra il 12 e il 26 aprile i senatori sentiranno Proactiva Open Arms, Medici senza Frontiere, Save the Children, Life Boat, MOAS. Aspettiamo di conoscere i presunti “misfatti” dei loro salvataggi in mare.

Una riflessione finale va ripresa, sulla collaborazione con le istituzioni. Nelle azioni umanitarie, come in quelle di sviluppo, le Ong sono abituate ad interrogarsi e a valutare le situazioni. Lo fanno, in modo indipendente, per evitare errori e per migliorare e rendere più efficaci i loro interventi. Anche in questo caso una riflessione e un’attenta analisi deve essere fatta, più di quanto già non si stia facendo, pur partendo dalla inderogabilità dei principi umanitari sopra espressi. Come far sì che i doverosi soccorsi in mare non producano  l’effetto negativo di un involontario aiuto ai trafficanti di esseri umani che possono approfittarne per aumentare le loro azioni criminali, organizzando l’arrivo massiccio di migranti lungo le coste nordafricane e in definitiva aumentando i morti in mare? Più di tredicimila, da quel terribile 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, rappresentano una carneficina che deve interrogarci quotidianamente, farci riflettere, anche perché cresce di anno in anno. Se questo è il tema e non la subalternità ai diktat di scelte disumane o ad obiettivi a loro estranei, allora le Ong sono aperte alla collaborazione, come dimostrato anche in passato.

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)