Lettera al Direttore di AVVENIRE Marco Tarquinio.
Caro Direttore,
con gli occhi “non governativi” ma anche attento al punto di vista delle istituzioni, ho seguito con attenzione e apprensione gli avvenimenti e le differenti posizioni sui salvataggi in mare. Ho cercato di cogliere i punti convergenti o tendenzialmente tali nascosti sotto la valanga delle dichiarazioni e dei commenti divergenti, spesso basati su informazioni imprecise. E’ stata seguita perlopiù la strada della contrapposizione, talvolta come naturale difesa di fronte agli attacchi, spesso su puntualizzazioni che hanno offuscato la complessità dei temi, sottacendo i punti comuni e radicalizzando le posizioni.
Mi limito a tre esempi di rilievo, tra i tanti, invitando tutti, compresi i media, ad abbassare i toni e contribuire a cercare giuste soluzioni a problemi che non dovrebbero essere né banalizzati né strumentalizzati dal perenne clima pre-elettorale né radicalizzati, perché è in gioco la nostra capacità di affrontare un futuro che richiede di essere governato al meglio, chiunque sia al governo del paese, senza illusioni e chiusure fuori tempo, anche per essere credibili e forti a livello europeo per ottenere la revisione dei trattati di Dublino, l’attuazione del sistema di redistribuzioni e politiche comuni più efficaci.
1. In un documento del 2 agosto le reti di ong italiane Link 2007, Aoi, Concord Italia, accanto alle proprie ragioni su alcune punti del codice di condotta ritenuti problematici, non hanno esitato a riconoscere le ragioni del ministro dell’Interno, auspicando che un più approfondito “confronto possa aiutare a superare le divisioni”. Il ministro Minniti dal canto suo, pur riaffermando la necessità di una regolamentazione, ha mostrato seria disponibilità a recepire suggerimenti da parte delle ong, compresa la garanzia dell’autonomia dello ‘spazio umanitario’, codificato d’altro canto, dalla stessa Ue. Salvare vite in pericolo è un’assoluta priorità e tutti sono legittimati a farlo in mare, come dovere e come obbligo sancito da norme che tutti dobbiamo rispettare. Ma la continua contrapposizione non aiuta ad affermarlo a voce alta, all’unisono, valorizzando questo straordinario lavoro umanitario, governativo e non governativo, che fa onore all’Italia. Forse basterebbe poco per chiudere definitivamente e in modo soddisfacente i punti rimasti aperti di un codice che non è mai stato messo in discussione come strumento di coordinamento e regolamentazione. Permettendo così una maggiore attenzione e un approfondito dialogo su altri punti nevralgici.
2. Due giorni prima, la rete Link 2007 pubblicava che “occorre conciliare due doveri dello Stato: i) proteggere i propri cittadini, anche di fronte a paure prodotte da ingannevoli percezioni, vigilare i confini, regolare gli ingressi in modo corrispondente alle capacità, ai bisogni e alle possibilità di sana accoglienza e integrazione; ii) agire in coerenza con il senso di umanità, il dovere di apertura e di solidarietà quando richieste da eventi particolari, i diritti umani, gli obblighi costituzionali e internazionali”. Facendo seguire un’articolata proposta per riuscire a conciliare coerentemente, in un programma governativo, i due doveri. Su alcuni punti può esserci distanza tra le posizioni governative e delle ong ma c’è un terreno di confronto comune che, se percorso, potrebbe fare maturare sostanziosi frutti. I prossimi sei mesi saranno preziosi. Varrebbe la pena di non perderli per riuscire a delineare politiche inserite in una visione ampia, coerente e coordinata, su: emersione dell’esistente, freno agli ingressi irregolari ed apertura di canali regolari, iniziative per rimediare al caos in Libia ed aiutare i migranti, interventi lungo la rotta migratoria e nei paesi di provenienza. Il tutto nel rispetto dei diritti umani, della dignità di ogni persona, del senso di umanità che non deve mai venire meno. E’ possibile? Si, lo è. Le ong sono pronte a discuterne e a fare la propria parte.
3. Altri punti di condivisione sono dettati dalle norme che nessuno mette in discussione perché vincolano tutti, dalle convenzioni e leggi del mare fino alla carta dei diritti fondamentali dell’Ue che ne esprime i principi e valori fondamentali: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. “Ogni individuo ha diritto alla vita ed alla propria integrità fisica e psichica”. “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti né può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù”. Il governo tutto, a partire dal presidente del Consiglio a cui spetta la definizione degli orientamenti, ha quindi una chiara base comune di riferimento, che coincide con quella delle ong e della società civile. Sulla delega ai libici, nell’immediato, della gestione dei salvataggi, anche l’art. 3 della recente legge sul delitto di tortura (110/2017) è un punto che unifica, vincolando l’intero governo e ogni forza politica al rispetto della legge. In Libia i migranti subiscono tutto ciò che noi, tutti noi, istituzioni, ong, società civile, partiti politici consideriamo inammissibile: trattamenti inumani, sequestri di persona, torture, abusi, stupri, lavori forzati, schiavismo. Ora servirebbe solo essere coerenti.
L’immigrazione, i fenomeni migratori, la mobilità umana sono realtà complesse e sotto i nostri occhi. Richiedono una presa di coscienza comune, informata, consapevole delle difficoltà e delle opportunità, insieme alla loro ineluttabilità. Girarsi dall’altra parte o pensare di risolvere i problemi con alcuni slogan o proclami accattivanti quanto ingannevoli in realtà li aggrava. Perché non affrontarli e non gestirli, complessivamente e coerentemente, senza ulteriori ritardi, riduce le nostre capacità di poterlo fare quando i proclami dimostreranno tutta la loro menzognera vuotezza. Anche per questo, cercare di appianare rapidamente le contrapposizioni ‘superabili’, non poche a mio avviso, nel governo, nella politica e nella società civile e tra queste entità, evitando per quanto possibile di alimentarle, è uno sforzo che dovremmo responsabilmente assumerci.
Cordiali saluti, Nino Sergi