Il conflitto tra il meglio e il bene
Ho sentore, da tempo ormai, che in tema di immigrazione io e molti altri che si situano storicamente e convintamente in un’area sociale e politica con forti valori di solidarietà, fratellanza, giustizia, attenzione ai più deboli, rischiamo di essere quasi considerati xenofobi da chi ritiene di vivere quegli stessi valori nell’unico modo possibile: il proprio, alla ricerca di un “meglio” che impedisce costantemente la realizzazione di un “bene” attuabile. Si tratta di un’affermazione forte ma spero utile alla riflessione.
L’esito delle elezioni in Danimarca è istruttivo. La socialdemocrazia ha vinto “grazie alla durezza sull’immigrazione”, hanno titolato vari giornali. A mio modesto avviso, ha vinto perché ha definito una chiara politica di sinistra, accentuando un solido welfare state, ed una altrettanto chiara politica di governo dell’immigrazione, magari con carenze e limiti ma definita, comprensibile e condivisa. È ciò che è mancato nei governi italiani, frenati sempre da mal di pancia nelle proprie aree di riferimento, perlopiù inconcludenti e sterili, e dai tanti no che chiedono, al rialzo, irrealizzabili meglio.
Alcune riflessioni
Mi limito ad alcune riflessioni che mi piace condividere con chi nell’area del centrosinistra è sensibile a questi temi.
Forte è l’impressione di essere considerati eterodossi quando si afferma per esempio:
- che non è né giusto né onesto affermare accogliamoli tutti, producendo tra l’altro uno scontato effetto opposto;
- che salvare vite è un dovere e che l’accoglienza è un valore ma deve anche corrispondere all’effettiva possibilità di essere dignitosa, condivisa, inclusiva, inserita nel progetto di società, di lavoro e di welfare di chi accoglie;
- che uno Stato ha non solo il diritto ma il dovere di dotarsi di regole – rispettose dei diritti e della dignità di ogni persona, ma al contempo precise e rigorose – che impediscano arrivi irregolari, indiscriminati, incontrollati e prevedano l’effettivo allontanamento di chi ha contravvenuto a tali regole;
- che sia un errore (pur capendone le motivazioni) abolire ogni distinzione tra i rifugiati, in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e protetti in base alle convenzioni internazionali, e chiunque altro provenga da paesi di povertà;
- che sia doveroso tenere in seria e prioritaria considerazione la percezione diffusa e le paure dei cittadini, anche se palesemente non corrispondono alla realtà, e fornire quindi risposte che siano utili al loro effettivo superamento.
Forse ad alcuni possono sembrare cedimenti alla visione egoista e sovranista dell’attuale fase politica italiana. In realtà si tratta di quel governo dell’immigrazione di cui tanto si è parlato senza mai definire una politica chiara per poterlo realizzare, nemmeno negli ultimi anni, magari rifacendosi al dibattito che ha portato al Global Compact sulle migrazioni, ignorato dall’attuale governo italiano ma adottato dalla comunità internazionale a dicembre 2018, che è un patto per una migrazione sicura, ordinata, regolare. Le tre parole sono indicative di tre componenti inscindibili anche per i paesi e le comunità che accolgono: sicurezza, non solo nel proprio ambiente di vita ma anche nel lavoro e nel welfare; sistema coerente e integrato, che superi l’approccio emergenziale; regole, con diritti e doveri per tutti.
Senza capacità di governare l’immigrazione (il ministro Minniti, pur con alcune criticità, ci aveva provato) si è lasciato spazio ad altre “risposte”: strumentali, ingannevoli, xenofobe, odiose, insostenibili, disumane ma seducenti, concrete, ansiolitiche e politicamente fruttuose, che stanno inquinando ed erodendo il tessuto sociale e di convivenza, con i valori di solidarietà e umanità che ne sono alla base. In realtà non viene affrontato alcuno dei problemi connessi all’immigrazione, né valorizzata alcuna delle tante opportunità in un paese in denatalità e rapido invecchiamento e proiettato geograficamente verso il continente africano.
Nulla da questo Governo in merito all’integrazione e valorizzazione dell’esistente; allo sfruttamento che rasenta lo schiavismo deformando al ribasso il marcato del lavoro e alimentando la criminalità; alla frattura sociale e al disprezzo crescenti che inquinano la società; alle regole per la normalità degli ingressi la cui mancanza favorisce lo sviluppo di traffici illegali; ai necessari accordi, nel reciproco rispetto e nella cooperazione, con i paesi di provenienza e le organizzazioni regionali e multilaterali. La visione rimane limitata a provocare un consenso nell’immediato. Nessuna strategia, nessuna programmazione, nessuna coerenza. Ma ai cittadini, nel breve termine, va bene così: sono stati ascoltati e hanno avuto risposte (?) alle loro paure.
Un maggiore approfondimento nel sociale solidaristico e nella politica
La materia merita un ampio approfondimento anche nel sociale solidaristico. Che inizi dall’ascolto e dalla considerazione delle preoccupazioni, le ansie, le paure che potranno emergere da questo ascolto. Senza, d’altro canto, temere di perdere qualcuna delle proprie “certezze”. Fermi sui valori e sui principi ma cercando il modo migliore e il modo possibile per poterli tradurre concretamente in scelte attuabili, azione quotidiana, proposta politica.
Alle forze politiche che si oppongono all’idea di una società basata sull’egoismo, la chiusura, il rifiuto della diversità, la discriminazione e l’esclusione è ora richiesta maggiore chiarezza, coerenza e intelligenza in tema di governo dell’immigrazione, che ne tenga presenti e colleghi tutti gli aspetti, in un quadro comprensibile e convincente. Non essere riusciti a dare risposte alle preoccupazioni e paure ha consegnato molta parte della cittadinanza a chi è riuscito a farlo, anche subdolamente ma riempiendo un vuoto.
Molti sono i limiti e molte sono le falsità della narrazione che è stata trasmessa in un’incessante campagna di propaganda politica, sulla quale è stato costruito il consenso. Quanto durerà? A mio avviso, dipenderà dalla capacità di iniziativa coordinata in Italia e in Europa e dall’impegno e la chiarezza propositiva che su questo tema si riuscirà ad esprimere: in un rapporto quotidiano con la società teso all’ascolto, insieme a decise politiche sociali e di welfare inclusive e sostenibili che tendano a non lasciare indietro nessuno e ad una visione strategica di rapporti di collaborazione e cooperazione con i paesi dell’Africa e del Vicino Oriente, a reciproco interesse e beneficio. Il tutto va declinato ma, a volerlo, non sono poche le proposte e le declinazioni che, anche in questi anni recenti, sono giunte alle forze politiche dalla società civile.
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