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ONG
02 Ago 2017

I SALVATAGGI IN MARE, LE ONG E IL CODICE DI CONDOTTA. QUALCHE NECESSARIA PRECISAZIONE.

1. Le ragioni del ministro Marco Minniti.
Sono note. Ha il difficile compito – anche assumendo incombenze di coordinamento che dovrebbero competere alla presidenza del Consiglio – di:
– recuperare anni di ritardi, sottovalutazioni e cattiva gestione della presenza di immigrati e rifugiati, che anche l’Ue e gli Stati membri hanno a lungo sottovalutato non capendone la portata, e che la stessa globalizzazione, oltre alle guerre, persecuzioni e situazioni di estrema povertà e rapidi cambiamenti climatici, stava rapidamente ampliando ovunque, compreso il nostro paese;
– convincere l’Unione europea e gli Stati membri della necessità di politiche comuni, di condivisione e di superamento delle normative e dei vincoli esistenti, ormai superati dalla realtà;
– tranquillizzare una pubblica opinione sommersa da strumentalizzazioni politiche che hanno prodotto percezioni della realtà sproporzionate con conseguenti esagerate paure;
–  combattere il traffico e la tratta di esseri umani che ha assunto livelli di criminalità non più tollerabili, anche per le ramificazioni che si stanno sviluppando sia nel continente africano che da noi;
– gestire l’accoglienza trovando spesso argini campanilistici a livello territoriale;
– coordinare i salvataggi in mare e gestirli in modo sicuro combattendo le infiltrazioni criminali.

2. Il codice di condotta per le Ong in mare.
A seguito dell’indagine conoscitiva del Senato, il ministro ha sentito il dovere di tradurne i punti conclusivi in alcuni vincoli che le Ong avrebbero dovuto sottoscrivere. In realtà, non si tratta di un vero codice di condotta ma di un insieme di disposizioni amministrative.
E’ bene ricordare, in sintesi, quanto il Codice prevede:
– Non entrare nelle acque libiche, «salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo» e non ostacolare l’attività della Guardia costiera libica
– Non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione e non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti
– Attestare l’idoneità tecnica e l’addestramento dell’equipaggio per le attività di soccorso
– Informare il proprio Stato di bandiera quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca istituita
– Tenere aggiornato il competente Centro di coordinamento marittimo sull’andamento dei soccorsi
– Non trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del competente Centro di coordinamento per il soccorso marittimo
-Ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, eventualmente e per il tempo strettamente necessario, funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico criminale
– Dichiarare le fonti di finanziamento per le attività di salvataggio in mare
– Cooperare lealmente con le autorità di pubblica sicurezza del luogo di sbarco dei migranti, anche trasmettendo informazioni utili alle investigazioni
– Impegnarsi, dopo i salvataggi, a recuperare nei limiti del possibile le imbarcazioni ed i motori fuori bordo, informando le autorità di coordinamento.

3. Le ragioni delle Ong.
– Le operazioni di salvataggio in mare sono parte delle attività umanitarie, ben conosciute dalla pubblica opinione e dai media, che le Ong realizzano in paesi come Siria, Somalia, Sudan, Repubblica Centrafricana, Yemen, Iraq eccetera, in coordinamento con istituzioni nazionali e internazionali e con regole e procedure vagliate nel tempo, condivise e consolidate. Non vi è nulla di improvvisato quindi, nei salvataggi e nelle regole e procedure adottate dalle Ong umanitarie nel Mediterraneo.
– L’insieme del Codice di condotta rispecchia quanto da un lato è normalmente nei poteri delle pubbliche amministrazioni e quanto, dall’altro, le Ong già stanno facendo nel rispetto della legge del mare e delle convenzioni internazionali in piena collaborazione con le istituzioni e i soggetti coinvolti e sotto la supervisione, le direttive e il coordinamento della Guardia costiera, fornendo le informazioni richieste e seguendone le disposizioni operative ricevute per ciascun salvataggio, fino al porto di destinazione.
– Questa corrispondenza di molta parte del Codice con la realtà vissuta quotidianamente nei salvataggi dimostra anche la falsità e la malizia del messaggio di denigrazione delle Ong diffuso nei mesi scorsi e continuamente ripetuto da gran parte della politica e dei media. La trasparenza richiesta, poi, è uno dei principali pilastri delle Ong umanitarie, senza la quale esse perdono significato: i bilanci sono pubblici e le istituzioni possono chiedere qualsiasi chiarimento se sorgessero dubbi.
– Le Ong che hanno partecipato, direttamente o indirettamente, agli incontri di questi ultimi giorni al Viminale hanno apprezzato le modifiche apportate nell’ultima formulazione del testo. E hanno affermato di voler seguire, il massimo possibile, tutte le disposizioni ivi contenute.
– Alcune Ong non hanno però potuto firmare il Codice per motivi legati all’impostazione generale e, in particolare, a causa di due punti che rischiano di snaturare l’identità delle Ong umanitarie, che non sono solo organizzazioni che fanno del bene, ma che lo fanno seguendo e vivendo principi universalmente riconosciuti di autonomia, indipendenza, neutralità e imparzialità di fronte a qualsiasi persona in pericolo. Non di arroganza si tratta, quindi, ma di principi validi e sperimentati da decenni, ai quali le Ong umanitarie non possono e non intendono rinunciare.
i) L’impostazione generale.
Il Codice evita di affermare con chiarezza la priorità del salvataggio in mare di fronte a persone in pericolo, mentre esplicita la richiesta di contribuire attivamente, a bordo, alle attività investigative e di polizia. Vengono così cancellati i principi fondamentali che impongono l’assoluta distinzione tra l’attività di polizia (o militare) e l’attività umanitaria. Le Ong umanitarie intervengono ovunque nel mondo ed è l’applicazione rigorosa di questi principi, o comunque declinata e contestualizzata in modo severamente autonomo, a permettere la loro operatività anche in situazioni molto difficili, proprio perché percepite come realmente umanitarie, indipendenti e imparziali.
– Le operazioni militari italiane nelle acque territoriali libiche e l’insistenza ad affidare alle forze di quel paese il salvataggio e la protezione dei migranti, senza alcuna garanzia che ciò possa realmente avvenire, confermano ancora maggiormente la necessità per le Ong di essere e di essere percepite indipendenti da tali scelte e operazioni.
ii) I due punti particolarmente problematici.
1. La presenza a bordo di funzionari armati. E’ contraria ai codici che la grande parte delle Ong umanitarie ha adottato in tutti i paesi in cui intervengono, che prevedono che nelle loro sedi non entrino armi. No Weapons, Non si entra armati. E’ un segno dell’imparzialità, della neutralità ed è anche una garanzia di sicurezza per il personale. Ma deve essere un principio seguito, e quindi da tutti conosciuto, ovunque. Per questo se ne chiede il rispetto a chiunque, militari, polizie, miliziani, singole persone. Non si tratta quindi di non accettare ufficiali giudiziari e di polizia a bordo ma semplicemente della richiesta di consegnare le armi al capitano al momento dell’imbarco sulla nave (sede dell’Ong, in questo caso), per poi riprenderle all’uscita, come avviene nelle sedi di molte Ong umanitarie, perfino per i contingenti militari in Afghanistan e Iraq, ma non può avvenire, a quanto pare, per gli ufficiali di polizia giudiziaria italiani.
2. La proibizione del trasbordo da una nave più piccola ad un’altra più grande e più attrezzata per il soccorso e le cure mediche. Appare come una pura limitazione ai salvataggi. Le navi più piccole hanno spesso fornito un contributo essenziale alle operazioni, stabilizzando i barconi in difficoltà, distribuendo i salvagente e ospitando alcune delle persone più sofferenti in attesa che navi più grandi provvedessero al soccorso e all’imbarco dei naufraghi nel più breve tempo possibile. Il Codice, pur ammettendo eccezioni, mette a rischio questa possibilità di normale collaborazione tra navi di diverse dimensioni, mettendo in realtà a rischio la vita delle persone.

4. Le norme italiane ed europee sul soccorso e l’aiuto umanitario.
La portavoce della Dg Migrazione e Affari interni della CE ha collegato il Codice all’adesione di “alcuni principi e standard operativi in linea con la legge internazionale”, senza i quali non può esserci “la garanzia di accedere ai porti italiani. … Perché dobbiamo lavorare tutti assieme per smantellare il modello di business dei trafficanti ed evitare morti in mare”. In realtà le azioni di salvataggio, anche senza Codice, sono state effettuate nel pieno rispetto della legge italiana e internazionale e sotto il coordinamento dell’istituzione preposta, il Comando della Guardia costiera.
Ma è la mancanza di coerenza con le ampie disposizioni e gli standard operativi già codificati sia in Italia che nell’Ue, per quanto riguarda il soccorso umanitario, che lascia perplessi e dubbiosi.
i) L’Italia ha fatto proprie e sviluppato le linee guida per l’aiuto umanitario adottate dai principali paesi donatori e dalla stessa CE (che lo stesso Consiglio dei Ministri ha recentemente confermato nel documento di programmazione ed indirizzo della cooperazione italiana). Il Principio 2 recita: “L’Azione Umanitaria deve essere guidata dai principi di i) umanità, che afferma la priorità della salvezza delle vite umane e della mitigazione delle sofferenze in qualsiasi luogo si trovino; ii) imparzialità, che implica la realizzazione di azioni umanitarie esclusivamente sulla base del bisogno, senza discriminazione tra o all’interno delle popolazioni colpite; iii) neutralità, secondo cui l’azione umanitaria non deve favorire nessuna parte coinvolta in un conflitto armato o altra disputa; iv) indipendenza, che afferma l’autonomia degli obiettivi umanitari da quelli politici, economici, militari o di altra natura (http://www.aics.gov.it/wp-content/uploads/2016/04/Emergenza_GHDLineeGuida_finale.pdf).
ii) L’Unione Europea dà precise definizioni dell’aiuto umanitario e dei criteri di qualità necessari, in molti documenti approvati dai vari Stati membri e dalle altre Istituzioni comunitarie.
– “L’assistenza umanitaria dell’UE si basa sui principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza.  Gli aiuti umanitari sono slegati da qualsiasi finalità politica e sono rivolti ai più bisognosi, senza distinzione di nazionalità, religione, sesso, origine etnica o appartenenza politica. (Dg ECHO, dall’A alla Z, http://ec.europa.eu/echo/files/media/publications/2012/AtoZ_it.pdf)
– “Considerando che è necessario preservare, rispettare ed incoraggiare l’indipendenza e l’imparzialità delle organizzazioni non governative e delle altre istituzioni umanitarie nell’attuazione dell’aiuto umanitario” … (Regolamento (CE) 1257/96 del Consiglio, relativo all’aiuto umanitario, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.douri=CONSLEG:1996R1257:20090420:IT:PDF).
– “Il Consenso europeo sull’aiuto umanitario sottolinea il forte impegno dell’Unione ad adottare un approccio basato sulle esigenze nonché a sostenere e promuovere i principi umanitari fondamentali di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza (Regolamento (UE) 375/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32014R0375&from=IT).
– “Lo «spazio umanitario» necessario per garantire l’accesso alle popolazioni vulnerabili e la sicurezza degli operatori umanitari devono essere preservati in quanto costituiscono i requisiti fondamentali per le azioni umanitarie e per l’assistenza fornita dall’Unione europea e dai suoi partner nel settore umanitario alle vittime delle crisi, in base al rispetto dei principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza dell’azione umanitaria, sanciti dal diritto internazionale e in particolare dal diritto umanitario internazionale” (Consenso europeo sull’aiuto umanitario – Dichiarazione del Consiglio, gli Stati membri, il PE e la CE, (2008/C 25/01) http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:42008X0130(01)&from=IT).

4. Nessuna chiusura. Le porte rimangono aperte.
– Le Ong che non hanno firmato si sono comunque impegnate a continuare a svolgere le operazioni in mare sotto il coordinamento del comando della Guardia costiera, a cui è affidato tale compito e in modo pienamente conforme alle norme nazionali e internazionali. Continueranno inoltre a rispettare tutte le disposizioni del Codice che non contraddicano i punti evidenziati. E’ la dimostrazione che si condivide lo sforzo di coordinamento e sistematizzazione che il Viminale sta portando avanti, facendo solo presenti alcuni imperativi umanitari che, comunque, in nulla contraddirebbero tale sforzo.
– Il Viminale non è riuscito a tenere conto che il mondo delle Ong è articolato e si basa su principi e codici che corrispondono alla specifica natura e allo specifico mandato umanitario che non può essere messo in discussione pena la perdita della propria identità. Se perfino organizzazioni internazionali come l’Unicef, per voce del vice direttore esecutivo Justin Forsyth, hanno visto nel Codice “cambiamenti che potrebbero inavvertitamente ostacolare i soccorsi e provocare la perdita di vite umane”, un maggiore e più approfondito dialogo del ministro con le Ong avrebbe certamente favorito la ricerca di un Codice veramente condiviso, rispettoso dei principi umanitari, e quindi sentito da tutti come proprio e non come imposizione esterna a cui dover aderire.
– La buona volontà e la disponibilità alla piena collaborazione da parte delle Ong, nei limiti dei pluriennali e sperimentati codici basati sui principi umanitari, è anche un invito a lasciare le porte aperte, nei due sensi, e il ministro dovrebbe tenerne conto. Più volte è stata richiesta l’istituzione di un tavolo di confronto, senza per ora avere risposta.
– Le divisioni nel mondo Ong e tra Ong e istituzioni, in un momento difficile come questo, non aiutano nessuno, specie di fronte a questioni che toccano la vita e la morte delle persone e quindi i valori fondamentali del nostro vivere comune, a cui non possiamo rinunciare e che non possiamo delegare ad altri, girandoci dall’altra parte. I segnali che stanno arrivando non tranquillizzano perché rischiano di acuire queste divisioni invece di sanarle a beneficio dell’azione complessiva del nostro paese. L’autorità dello Stato non è messa minimamente in dubbio; ne è prova il continuo confronto e la collaborazione con le istituzioni politiche e amministrative che ha sempre caratterizzato la nostra azione. Siamo convinti ce, anche su questa materia, il confronto possa aiutare a superare le divisioni.

 

(Nota scritta per le reti di Ong LINK 2007, AOI, CONCORD Italia, come base di riflessione per un documento condiviso da rendere pubblico)

Comunicato

Testo in inglese: Documento unitario codice condotta ENG

 

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)