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19 Ott 2023

ISRAELE-PALESTINA. VALORIZZARE IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

Sono troppe le parole bellicose dagli scanni delle aule parlamentari o dai talk show o dalle colonne dei commenti schierati a priori da una parte o dall’altra della due realtà israeliana e palestinese, spesso con ben poca conoscenza dei fatti e poca memoria. Le si ripetono spesso per difendere il proprio posizionamento e il proprio spazio politico, senza mai soffermarsi sui tanti se e i tanti ma che esistono e che riguardano sia le istituzioni dello Stato di Israele con le sue mire espansionistiche, sia le istituzioni palestinesi inefficaci e corrotte o collaterali ad organizzazioni jihadiste e terroristiche. Eppure, di fronte a situazioni così complesse, che potrebbero esplodere anche ben oltre il perimetro attuale, sarebbe indispensabile analizzarli a fondo questi se e ma, senza disprezzarli e senza disprezzare chi li evoca. Lo stesso presidente Joe Biden, pur nella fermezza del sostegno a Israele e nel linguaggio felpato della politica internazionale, ne ha evidenziato alcuni ieri a Tel Aviv.

Colpiscono inoltre le affermazioni di politici ed esperti di geopolitica che negano ogni valore al diritto internazionale umanitario perché – sintetizzo – “in guerra non si può andare per il sottile e nessuno ha tempo di consultare i codici”. Alla faccia dei tanto propagandati valori che “distinguono le democrazie occidentali dal resto del mondo”, tra i quali dovrebbero primeggiare la dignità umana, lo Stato di diritto, le libertà civili, i diritti inalienabili… Nelle nostre democrazie non vale forse il principio che il potere dell’autorità riconosciuta deriva sì dal risultato elettorale ma è strettamente connesso alla norma, comprese le norme internazionali condivise? Un’autorità che esercita il potere ignorando o non rispettando la norma quanto ha da spartire con la democrazia che predichiamo? Evitare di porsi queste domande potrebbe essere un segno di decadimento, la manifestazione di un Occidente dei valori dichiarati e ripetutamente sbandierati ma troppo facilmente contraddetti.

Parallelamente alla netta condanna delle atrocità commesse da Hamas su civili inermi israeliani e all’auspicio della pronta liberazione degli ostaggi, lo scorso 12 ottobre evidenziavo come Israeliani e Palestinesi abbiano sollecitato la politica per ben 75 anni e siano stati da essa traditi, sia a livello interno che internazionale; e come le guerre non risolvano mai i problemi a cui si vorrebbe porre fine, tuttalpiù li spostano nel tempo, ritrovandoli poi forse più complessi. Ci troviamo ora in una guerra cruenta che colpisce soprattutto persone inermi (molti i bambini) distruggendo le loro vite, la loro dignità, il loro futuro. Alle vittime e alle sofferenze in Israele si affiancano, molto più numerose, le vittime e le sofferenze nella striscia di Gaza in Palestina.

Quanto segue invita a ridare valore al diritto internazionale umanitario con gli impegni assunti dalla globalità degli Stati.

Anche i conflitti armati sono regolati da norme

Alla fine della seconda guerra mondiale la collettività delle Nazioni ha sentito l’esigenza di dotarsi di un ordinamento condiviso per disciplinare “nella guerra” l’uso della forza da parte degli Stati: una nuova codificazione del diritto internazionale finalizzata a temperare gli effetti più disumani della guerra. Al “diritto alla guerra” e al diritto bellico internazionale è stato così affiancato il diritto più propriamente umanitario, con le relative limitazioni della violenza e i relativi doveri di protezione e cura della popolazione civile, del personale militare fuori combattimento quali i feriti e i prigionieri e delle persone che non sono attivamente coinvolte nelle ostilità.

L’insieme delle norme del diritto internazionale umanitario è ampio, come numerosi sono, oltre agli Stati, i soggetti chiamati a renderlo effettivo. Si tratta innanzitutto delle forze armate, delle organizzazioni statali e multilaterali istituzionalmente relazionate ai contesti di guerra, delle diverse componenti del movimento internazionale della Croce Rossa (promotore e garante dei principi umanitari), delle diverse realtà della società civile impegnate su diritti umani, protezione, aiuto umanitario. A cui potrebbero forse essere aggiunti oggi gli operatori dei media, chiamati ad assicurare un’informazione corretta, per evitare che possa essere trasformata in arma di guerra.

Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 costituiscono la base del diritto internazionale umanitario (DIU). Ratificate universalmente, rappresentano un impegno senza pari a favore di principi umanitari comuni. La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i feriti, i malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a protezione dei civili in tempo di guerra.

Nel 1977 sono stati approvati due Protocolli aggiuntivi. Il Primo integra la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali il divieto di attaccare persone e installazioni civili e la limitazione dei mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati. L’Italia ha ratificato entrambi i protocolli. Mentre alcuni Stati Parte delle Convenzioni non li hanno accolti (come USA, Israele, India, Iran Turchia) o hanno apposto riserve alla loro piena accettazione (Australia, Cina, Francia, Germania, Russia, Spagna, UK).

Esistono altri trattati e convenzioni internazionali riguardanti temi specifici (quali le armi chimiche, le mine antipersona e le bombe a grappolo, la tortura…) ma ci limitiamo qui alle Convenzioni di Ginevra universalmente adottate ed in particolare alla Quarta Convenzione.

Diritto internazionale umanitario e conflitto Israele-Hamas

Lo Stato di Israele ha ratificato le quattro Convenzioni di Ginevra il 6 luglio 1951, mentre non ha accolto i due Protocolli aggiuntivi del 1977. A nome della Palestina, l’Autorità Nazionale Palestinese ha aderito anch’essa alle quattro Convenzioni e al Primo Protocollo aggiuntivo il 2 aprile 2014. La ratifica della Quarta Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra impone ad entrambe le entità l’osservanza dei principi esplicitati.

Di seguito alcune delle disposizioni contenute nei 159 articoli della Convenzione. La loro lettura può essere illuminante.

  • Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri di forze armate che abbiano deposto le armi, saranno trattate con umanità, in ogni circostanza e senza alcuna distinzione (art. 3). Sono protette dalla Convenzione le persone che, in un momento o in modo qualsiasi si trovino, in caso di conflitto o di occupazione, in potere di una Parte in conflitto o di una Potenza occupante, di cui essi non siano cittadini (art. 4).
  • I feriti e i malati, come pure gli infermi e le donne incinte fruiranno di una protezione e di un rispetto particolari (art. 16). Gli ospedali civili non potranno, in nessuna circostanza, essere fatti segno ad attacchi; essi saranno, in qualsiasi tempo, rispettati e protetti dalle Parti in conflitto (art. 18). Il personale regolarmente ed unicamente adibito al funzionamento degli ospedali civili sarà rispettato e protetto (art. 20).
  • Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere (art. 23).
  • Le persone protette hanno diritto, in ogni circostanza, al rispetto della loro persona, del loro onore, dei loro diritti familiari, delle loro convinzioni e pratiche religiose, delle loro consuetudini e dei loro costumi. Esse saranno trattate sempre con umanità e protette, in particolare, contro qualsiasi atto di violenza o d’intimidazione (art.27). Nessuna persona protetta può essere punita per un’infrazione che non ha commesso personalmente. Le pene collettive, come pure qualsiasi misura d’intimazione o di terrorismo, sono vietate (art. 33).
  • I trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo. La Potenza occupante potrà tuttavia procedere allo sgombero completo o parziale di una determinata regione occupata, qualora la sicurezza della popolazione o impellenti ragioni militari lo esigano. Gli sgomberi potranno avere per conseguenza lo spostamento di persone protette soltanto nell’interno del territorio occupato, salvo in caso di impossibilità materiale. La popolazione in tal modo evacuata sarà ricondotta alle sue case non appena le ostilità saranno cessate nel settore interessato. Procedendo a siffatti trasferimenti o sgomberi, la Potenza occupante dovrà provvedere, in tutta la misura del possibile, affinché le persone protette siano ospitate convenientemente, i trasferimenti si compiano in condizioni soddisfacenti di salubrità, di igiene, di sicurezza e di vitto e i membri di una stessa famiglia non siano separati gli uni dagli altri (art. 49).
  • È vietato alla Potenza occupante di distruggere beni mobili o immobili appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, allo Stato o a enti pubblici, a organizzazioni sociali o a cooperative, salvo nel caso in cui tali distruzioni fossero rese assolutamente necessarie dalle operazioni militari (art. 53).
  • La Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali; in particolare, essa dovrà importare viveri, medicinali e altri articoli indispensabili (art. 55). Ha inoltre il dovere di assicurare e di mantenere, con il concorso delle autorità nazionali e locali, gli stabilimenti e i servizi sanitari e ospedalieri, come pure la salute e l’igiene pubbliche nel territorio occupato (art. 56). Allorché la popolazione di un territorio occupato o una parte della stessa fosse insufficientemente approvvigionata, la Potenza occupante accetterà le azioni di soccorso organizzate a favore di detta popolazione e le faciliterà. Queste azioni, che potranno essere intraprese sia da Stati, sia da un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, consisteranno specialmente in invii di viveri, medicinali ed effetti di vestiario (art. 59).
  • Gli invii di soccorso non esonereranno affatto la Potenza occupante dalle responsabilità che le incombono in virtù degli articoli 55, 56 e 59. Essa non potrà sottrarre in nessun modo gli invii di soccorso alla destinazione loro assegnata, salvo in caso di urgente necessità, nell’interesse della popolazione del territorio occupato (art. 60).

Le aperte violazioni delle norme del DIU possono essere crimini di guerra.

Ritornare a valorizzare il diritto internazionale umanitario

Si discute se l’attacco di Hamas del 7 ottobre, pur rappresentando un efferato crimine, possa giustificare la risposta militare (guerra) del governo israeliano. Lo status di Gaza e di Hamas e la quasi assenza dell’Autorità palestinese rendono incerto il responso ma rimane intatta la certezza che la risposta militare di Israele debba rispettare due criteri fondamentali: la distinzione tra militari e civili, evitando di coinvolgere i civili nei combattimenti; la proporzionalità della risposta, in relazione agli effetti sulla popolazione civile dell’obiettivo militare che si vuole perseguire.

Quanto all’assedio, per il DIU diventa illegale se la parte assediante non garantisce il necessario al fine di evitare sofferenze ai civili. L’assedio “totale”, che toglie cibo, acqua, cure mediche alla popolazione civile è invece sempre illegale.

Si parla molto di corridoi umanitari. Ho sempre vissuto tali corridoi come strumento per fare giungere alle popolazioni colpite gli aiuti necessari per la loro dignitosa sopravvivenza e la loro protezione. Mai come strumento per cacciare le persone. Se l’evacuazione temporanea dei civili dalle aree di guerra può essere legale, è invece certamente illegale cacciare una popolazione dal proprio territorio o dal proprio paese, verso l’ignoto e verso una nuova tragedia umana, magari senza consentirle di ritornare.

L’osservanza del diritto internazionale avrebbe potuto impedire la continua colonizzazione dei territori palestinesi e l’uso della forza per renderla duratura, come avrebbe potuto impedire ogni atto di aggressione sui civili israeliani inermi da parte palestinese. Così non è stato e non lo è da molto tempo. E non solo per il disprezzo di tale diritto da parte delle due entità. L’indifferenza degli Stati terzi (comprese le grandi democrazie, a partire dagli Stati europei) di fronte alle continue violazioni del diritto internazionale, delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dei pronunciamenti della Corte internazionale di giustizia ha indubbiamente favorito la svalutazione del diritto internazionale e in particolare del DIU e l’abbattimento della barriera tra legittime preoccupazioni e prevaricazioni, tra legalità e illegalità. Occorre ri-conoscere e ri-confermare l’insuperabilità di questa barriera, esigendone e controllandone l’effettiva attuazione: per coerenza e per non continuare ad accusare solo altri di nefandezze che sono state anche nostre. A meno di voler continuare nel lento suicidio politico dell’affermazione che tutto ci è lecito perché “dobbiamo difendere le nostre democrazie”.

Pubblicato in:  VITA

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)