A quattro mesi dalla precedente riflessione, l’articolo ritorna sull’esigenza di una rappresentanza unitaria delle Osc di cooperazione allo sviluppo ed è stato pubblicato su VITA Magazine, luglio-agosto 2020 (La frase nel titolo è di Tom Benetollo, dicembre 2003, sei mesi prima che ci lasciasse – La foto riprende la copertina di Vita).
Non è facile ritornare a parlare dell’esigenza di una rappresentanza unitaria rappresentativa dell’insieme delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale nella ricchezza dei diversi valori ed esperienze. Ma è doveroso farlo: è una necessità non più rinviabile di fronte alle trasformazioni in atto che incidono anche sulle scelte politiche, le relazioni internazionali, i rapporti di cooperazione, i partenariati, la stessa visione dello sviluppo.
Non è facile perché a questa necessità, pur evidente, non si è riusciti a dare risposte efficaci in venti anni, dalla nascita nel 2000 dell’Associazione delle Ong italiane, precedentemente raggruppate in una ‘Assemblea’ con una rappresentanza ‘unitaria’ di cinque persone rappresentative ciascuna della propria parte associativa. Il cammino delle organizzazioni della società civile impegnate nella cooperazione internazionale non è sempre stato lineare. Momenti di forza unitaria si sono alternati con momenti divisivi.
I motivi? Sono molteplici. Negli anni passati spiccano quelli basati su disegni egemonici personali o di gruppo e quelli basati sulla necessità di sottrarsi a scelte associative frenanti, lente o non corrispondenti a criteri di qualità nella soggettività non governativa, nelle politiche di cooperazione, nei rapporti istituzionali. Anche la riforma degli anni 2010-2013, con la nuova Associazione delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale, finalizzata a valorizzare la pluralità degli attori sociali e del volontariato e a sviluppare alleanze con le altre realtà sociali e reti associative e con le istituzioni locali, pur importante e coraggiosa, non è riuscita ad indirizzarsi verso una rappresentanza unitaria fortemente rappresentativa. Eppure, in quegli anni ben l’86,4% degli operatori delle Ong che hanno risposto ad un’indagine di Info-cooperazione l’aveva ritenuta conveniente.
Nei sette anni passati le necessarie alleanze con altri soggetti sociali si sono talvolta trasformate in ‘inglobamento’ associativo: di attori autorevoli ma senza specificità nell’azione di cooperazione internazionale. È il risultato di una visione della cooperazione allo sviluppo così genericamente inclusiva da rimanere indefinita e difficilmente condivisibile da parte di coloro che han fatto dei valori dell’identità, specificità, conoscenza ed esperienza diretta, qualità ed efficacia degli interventi e dei partenariati la cifra di merito del loro cammino.
Non si tratta di vecchia e di nuova cooperazione, come talvolta è superficialmente affermato, ma di un punto chiave che dovrebbe essere meglio approfondito da tutte le organizzazioni e le reti rappresentative. Anche CINI e LINK 2007 oltre all’AOI ed ai coordinamenti e federazioni al suo interno dovranno interrogarsi in questa fase storica che richiede un impegno rinnovato e qualificato, un maggior peso unitario e una visione ad orizzonte decennale, tutta da elaborare nei continui mutamenti globali.
Una visione condivisa, autonoma, non mutuata da governi, partiti o esperienze estranee alla cultura solidaristica: basata sulla centralità della dignità della persona e dei più vulnerabili, il cammino insieme ai partner ed alle realtà che lottano contro povertà e disuguaglianze per uno sviluppo sostenibile, la conoscenza ed esperienza, l’analisi dei paesi e dei contesti, la presenza in situazioni di distruzione e morte in guerre assurde, la costante ricerca del dialogo. Una visione che colga le differenze tra le nostre opinioni e quelle dei governi e della politica e che sviluppi alleanze per proporre alternative.
La pandemia ha dimostrato quanto la comunità umana sia vulnerabile e quanto sia necessario aggregare le forze nella stessa direzione per riuscire a modificare sistemi, scelte, comportamenti non più sopportabili. Il Terzo Settore italiano sta dimostrando, nel suo insieme, di averlo capito e si sta decisamente muovendo in questo senso guadagnando nuovi spazi di credibilità, di azione e di ascolto. Le Ong e Osc di cooperazione e solidarietà internazionale sono parte di questo insieme ma devono muoversi in modo unitario per far pienamente valere la propria specificità, guadagnando a loro volta nuovi spazi di credibilità, di azione e di ascolto.
È giunto il momento di fermarsi a discuterne per giungere a decisioni condivise che rispondano alle nuove necessità nell’orizzonte temporale del prossimo decennio, quello dell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Uscendo dagli interessi immediati e guardando lontano, forti del nostro vissuto in molti paesi con tanti partner e comunità, anche all’ultimo miglio ed in situazioni di vulnerabilità in Italia. Coinvolgendo e accompagnando i nuovi soggetti della cooperazione. Interloquendo in modo paritario con le istituzioni governative e la politica. Valutando i successi e gli errori da non ripetere.
«Certo, la via dei rapporti unitari è sempre impervia. La via più facile è quella che si interessa solo di valorizzare la propria corporazione, comunque si chiami. Ma se c’è qualcosa che crea cambiamento, è proprio nei rapporti unitari. Questo vale particolarmente sul terreno dei diritti: come farei ad affermarne l’universalità se mettessi al primo posto il mio ‘particolare’ interesse facendomi strada a gomitate, contro il mio vicino? Cogliamo l’occasione, non si ripeterà facilmente. È o non è il tempo del cambiamento?». Così Tom Benetollo nel dicembre 2003, sei mesi prima che ci lasciasse.
Se non ora quando? Il mondo non aspetta. A noi la responsabilità di muoverci nel modo e momento giusti per non perdere la corsa.