La richiesta di molti imprenditori, legata alla forte ripresa economica in alcuni settori chiave dell’economia italiana, trova risposta nel nuovo “decreto flussi” di lavoratori stranieri in Italia per attività prevalentemente di carattere stagionale ma anche di più lunga durata. Una misura necessaria ma rispondente ancora una volta all’approccio emergenziale, senza intervenire su storture del mercato del lavoro che si trascinano a danno della dignità dei lavoratori e della sana concorrenza. Il decreto andrebbe migliorato e integrato prevedendo un parallelo intervento per garantire trasparenza e per potere immettere nuova manodopera straniera in contesti di legalità negli stessi settori, a partire dall’emersione e la regolarizzazione dell’esistente ove necessario.
Il Dpcm che fissa per il 2022 la quantità di ingressi regolari in Italia di cittadini stranieri per motivi di lavoro sarà approvato a breve. È nella fase finale di valutazione e potrebbe prevedere fino a circa 80 mila autorizzazioni, soprattutto per motivi di lavoro stagionale (45 mila) ma anche subordinato (28 mila) e autonomo. Il provvedimento intende da un lato rimediare alla progressiva diminuzione sul territorio nazionale dei lavoratori comunitari, aggravata dalle limitazioni della pandemia, e dall’altro rispondere alle pressanti richieste di lavoratori da parte di alcuni settori produttivi quali l’agricoltura, le costruzioni, i trasporti, il turismo.
Richiesta di alcuni settori produttivi
Coldiretti considera la presenza di lavoratori stagionali una necessità per potere salvare i raccolti, cogliere le opportunità del settore agroalimentare che vengono dalla ripresa economica, garantire la programmazione e sostenere la crescita del fatturato e delle esportazioni, pari a 52 miliardi a fine 2021. Hanno la stessa preoccupazione WeBuild del settore costruzioni, la Confederazione dell’industria manifatturiera e vari altri soggetti economici.
Entreranno in Italia lavoratori stagionali provenienti in particolare dai paesi con cui sono stati stretti accordi bilaterali di cooperazione in materia migratoria. Ma si pensa ad Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Costa D’Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Ghana, Guatemala, India, Kosovo, Mali, Marocco, Moldova, Montenegro, Niger, Repubblica di Corea, Senegal, Serbia, Tunisia e altri ancora. Per motivi di lavoro subordinato non stagionale saranno ammessi stranieri nei settori autotrasporto merci per conto terzi, edilizia, turistico-alberghiero, agroalimentare e manifatturiero. Una quota sarà riservata a lavoratori che hanno partecipato a corsi di formazione professionale e di istruzione nei propri paesi di origine. “Dobbiamo rafforzare i canali legali di migrazione, perché rappresentano una risorsa, non una minaccia per la nostra società” ha giustamente affermato il presidente Draghi.
Sono misure che servono?
Il decreto flussi non è una sanatoria (che riguarda le persone irregolarmente presenti sul territorio italiano) ma un provvedimento per favorire ingressi regolari per lavoro e per facilitare la conversione di alcune tipologie di permesso da stagionale a lungo-soggiorno, al fine di rispondere alle esigenze delle imprese che avrebbero auspicato numeri ancora più grandi.
Sono misure che servono? Senza entrare nelle opzioni partitiche ormai predefinite, vi sono attenti studiosi che mettono in dubbio l’utilità di simili provvedimenti perché non modificano le carenze e storture del nostro sistema, prolungandole e in parte intensificandole. Una parte significativa dei fabbisogni di manodopera straniera riguarda settori lavorativi con contratti di breve periodo, ampio uso del lavoro sommerso, elevata mobilità. Una quota significativa dei flussi finirebbe quindi per garantire nuova manodopera a mercati del lavoro poco attraenti e con dinamiche regressive delle condizioni di reddito e di lavoro, che sarebbero a svantaggio di tutti. Mentre sarebbe necessario garantire remunerazioni e condizioni di lavoro più dignitose, puntando decisamente sulla qualificazione delle prestazioni lavorative, anche per i lavoratori immigrati.
Non si esce dall’approccio emergenziale
Giusta è l’osservazione di quanti evidenziano che si stanno affrontando problemi strutturali con provvedimenti di tipo emergenziale e privi di un’adeguata analisi dell’impatto sul mercato del lavoro. Non emerge alcuna strategia governativa volta a dotare l’Italia di politiche per l’immigrazione adeguate ai tempi odierni. I veti incrociati, quelli che hanno bloccato l’adesione italiana al Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare e a cui assistiamo quotidianamente in Parlamento, la stanno impedendo, rischiando di provocare perdite di autorevolezza nel dibattito europeo sulle politiche migratorie e nella richiesta di una “gestione condivisa, solidale, umana e sicura” degli arrivi.
Alle esigenze dei settori produttivi il Governo deve comunque dare una risposta, potendo forse trovare il consenso dei differenti partiti dato il momento di forte ripresa economica che necessita anche di questo provvedimento. È però ancora una volta una risposta emergenziale, con qualche probabile effetto immediato ma pochi o nulli riflessi sulla stabilizzazione qualitativa del mercato del lavoro. Ai rappresentanti delle categorie che intendono beneficiare dell’immissione di nuova forza lavoro immigrata dovrebbe essere richiesta la sottoscrizione, con la controparte sindacale, dell’impegno di assicurare la trasparenza dei rapporti di lavoro e il pieno rispetto di quanto previsto dai contratti nazionali e aziendali. La stragrande maggioranza lo fa ma sono ancora molte le imprese la cui irregolarità e il cui sfruttamento lavorativo sono spesso irresponsabilmente tollerati.
Dov’è la coerenza?
Rimane anche un grave deficit di coerenza a cui un governo autorevole come l’attuale deve porre rimedio. Non ci sono dati precisi sul numero di immigrati impiegati in lavori sommersi, irregolari. Le cifre variano tra 300 e 600 mila. Troppi in ogni caso, anche perché il sommerso permette forme di sfruttamento e di intermediazione criminale di manodopera per assicurare alle imprese persone sottopagate e sfruttate. Si tratta di una piaga che resiste ai controlli ed alle norme sanzionatorie ma che va decisamente contrastata sia per potere immettere nuova manodopera straniera in contesti di legalità, sia per favorire percorsi di emersione e di promozione delle imprese virtuose.
Nuovi ingressi esigono che si esca dal sommerso e dallo sfruttamento
Per essere coerente e per non limitarsi alla gestione dell’emergenza il Governo dovrebbe quindi ampliare il decreto flussi anche all’obiettivo dell’emersione dei rapporti di lavoro illegali. Non a mo’ di sanatoria ma concentrandosi su definiti settori e contesti geografici in accordo con le parti firmatarie dell’impegno alla trasparenza e al rispetto dei contratti di lavoro, di cui si è fatto cenno. Se 80 mila saranno nel 2022 i nuovi ingressi di lavoratori stranieri, almeno 80 mila dovrebbero essere le emersioni e le regolarizzazioni dell’esistente negli stessi settori e nello stesso periodo. L’iniziativa governativa è chiamata a completare il decreto flussi con questa seconda parte, a garanzia del positivo esito e dell’efficacia dello stesso decreto.
È vero che l’ultima regolarizzazione non ha avuto il successo sperato, anche se per 70 mila persone (finora) ha significato l’emersione dall’invisibilità e per alcune anche da condizioni di vita disumane, restituendo identità e dignità. Ed è altrettanto vero che in tema di immigrazione l’Italia, da molti anni ormai, sta continuando a riprodurre provvedimenti che manifestamente non fanno fare alcun passo avanti nella definizione di politiche migratorie attive e lungimiranti, con un sensato governo dell’immigrazione. Politiche che sono indispensabili ormai per la sostenibilità economica e il futuro delle nostre società; per il contrasto agli ingressi irregolari e ai relativi traffici di esseri umani; per l’integrazione sociale che necessita di azioni per il pieno inserimento nella società e il riconoscimento dei diritti, a fianco dei doveri, di cittadinanza; come strumento di riequilibrio demografico di fronte alla prolungata bassa natalità e all’incremento del numero delle persone anziane e da accudire, alla spinta all’emigrazione di giovani e adulti italiani alla ricerca di nuove opportunità. Le prime parziali misure di contrasto alla denatalità italiana contenute nel PNRR potranno dare solo limitati risultati che, comunque, richiederanno tempo.
Bene quindi il decreto flussi con l’apertura di canali regolari di immigrazione in risposta ai bisogni del sistema produttivo. Ma guai se non venisse integrato prevedendo un parallelo intervento negli stessi settori per garantire trasparenza e immettere nuova manodopera straniera in contesti di legalità, a partire dall’emersione e la regolarizzazione dell’esistente ove necessario.