Nota della rete di Ong “LINK 2007” che fa il punto sulla cooperazione allo sviluppo ed evidenzia alcune opportunità da cogliere e criticità da superare con urgenza, a partire dalla prossima legge di stabilità.
L’impresa, gli investimenti, gli strumenti innovativi, le istituzioni
I. I soggetti profit nella nuova cooperazione
A fianco dei soggetti non profit, degli enti territoriali, delle università la legge 125/2014 sulla cooperazione allo sviluppo riconosce “i soggetti con finalità di lucro” e “favorisce l’apporto delle imprese e degli istituti bancari ai processi di sviluppo dei paesi partner, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e responsabilità sociale” (artt. 23 e 27). La legge ha voluto aprire ad un nuovo modello italiano che inserisce a pieno titolo il profit e il rapporto profit – non profit nelle attività di cooperazione allo sviluppo. È lo spirito e il protagonismo imprenditoriale, la voglia di intraprendere, che la nuova cooperazione italiana intende valorizzare per la costruzione di sviluppo, la creazione di imprese, la realizzazione di partenariati, la moltiplicazione di occasioni di lavoro stabili e di professionalità. Un profit vero, capace di trarre profitto dall’investimento e quindi di investire mettendoci del proprio, rischiando per poterci riuscire nel rispondere ad un bisogno reale del paese partner. La collaborazione col non profit è indispensabile per garantire sostenibilità a lungo termine, posti di lavoro dignitosi, attenzione alle implicazioni sociali e comunitarie e per una migliore coerenza delle politiche di sviluppo che toccano vari altri settori fondamentali quali l’educazione, la salute, le pari opportunità, la coesione sociale, la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale ed economica.
L’azione imprenditoriale italiana e i partenariati per investire nello sviluppo in paesi a basso reddito sono frenati tuttavia da carenze normative. Non è stata infatti prevista (se non nelle intenzioni) un’istituzione finanziaria per lo sviluppo (IFS) dotata delle risorse, degli strumenti, delle tecnicalità e dello spazio di iniziativa necessari. Formalmente, l’articolo 22 della legge 125 l’ha identificata in Cassa Depositi e Prestiti (CDP), senza però prevedere una strutturazione normativa adeguata alla nuova funzione, ai suoi sviluppi ed alla potenzialità di attrazione e gestione di nuove risorse europee e internazionali, sia pubbliche che private. CDP è senza dubbio un’opportunità ma qui si tratta di una funzione nuova, che deve rimanere differente da quella ordinaria relativa agli investimenti della pubblica amministrazione, al supporto alle aziende e all’economia italiana, all’export, all’internazionalizzazione in senso stretto, alla penetrazione commerciale. Quello della cooperazione è infatti un intervento a supporto dei paese partner che ha la sostenibilità come principio fondamentale e che porta anche i privati ad investire per dare risposte ai bisogni e creare posti di lavoro dignitosi e duraturi, anche in aree difficili.
II. Gli organi istituzionali della cooperazione
La parte della cooperazione italiana allo sviluppo realizzata dalle imprese deve situarsi all’interno delle finalità della legge, degli indirizzi politici e della programmazione definiti dal Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS) e degli interventi deliberati dal Comitato congiunto composto dal Ministro/Viceministro, la competente Direzione generale (DGCS) e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS). Essa diventa materia di pertinenza della CDP “per l’istruttoria e la gestione dei profili finanziari delle iniziative di cooperazione, per i crediti concessionali, per la strutturazione di prodotti di finanza per lo sviluppo nell’ambito di accordi con organizzazioni finanziarie europee o internazionali o della partecipazione a programmi dell’Unione europea” (articolo 22), con le modalità e i limiti stabiliti nella convenzione triennale stipulata da CDP con la DGCS e l’AICS.
Nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo, CDP è spesso definita impropriamente “banca di sviluppo”, manifestando più un auspicio che non la realtà espressa dalla legge, creando quindi un po’ di confusione. Nella convenzione è definito in modo chiaro che sono la DGCS e l’AICS a chiederle assistenza e collaborazione, attività e servizi, precisati in modo dettagliato. Con la normativa attuale, quindi, CDP è piuttosto il braccio finanziario operativo del sistema italiano di cooperazione allo sviluppo. Sistema che sta entrando finalmente nella dimensione europea, ove anche CDP sta diventando uno dei “bracci finanziari operativi” della Commissione e della BEI, come di altre grandi istituzioni finanziarie internazionali per lo sviluppo. È quindi auspicabile che sia messa nelle condizioni di poter recuperare in fretta il divario con le altre IFS europee che stanno invece da tempo operando. Ma su questo torneremo successivamente.
III. Le criticità, a tre anni dalla legge
Nonostante le intenzioni politiche, le reali buone volontà e il progressivo incremento delle risorse finanziarie, la cooperazione italiana allo sviluppo ha oggi alcune criticità e carenze normative che la rendono sospesa tra la straordinaria novità voluta dalla legge e l’impossibilità di attuarla, impedendole di esprimersi in tutte le sue potenzialità. Con conseguenze non da poco.
- La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo
La legge ha tolto alla Direzione generale le funzioni gestionali della cooperazione allo sviluppo per valorizzare quelle di analisi, valutazione, comparazione, elaborazione di indirizzi, capacità propulsiva e propositiva, per essere di ausilio alle decisioni e alle politiche del Ministro e del Viceministro in materia di cooperazione e, più in generale, alla coerenza con esse delle politiche governative. Fondamentali sono infatti la definizione e l’aggiornamento di una precisa strategia in una visione di politica estera e di cooperazione complessiva e di sistema, assunta dall’intero governo e dalle realtà istituzionali coinvolte. La fase di transizione non è stata semplice per la DGCS, sia per la rapida rotazione dei suoi vertici che per i tagli di personale che la legge ha imposto. Non è ancora riuscita quindi ad assumere pienamente il ruolo chiave, nobilitante e qualificante, che le è stato assegnato. Il nuovo Direttore generale che a breve sarà nominato, i suoi Vice e i Capi ufficio con il personale dedicato avranno quindi un compito di rilevante importanza e responsabilità.
- L’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo
L’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, pur rappresentando la grande novità introdotta dalla legge 125, rimane un esempio di contraddizione e cecità politica. Il Parlamento ha voluto istituirla per rafforzare, modernizzare e rendere più efficace la cooperazione, considerandola parte “qualificante della politica estera dell’Italia” e indispensabile strumento di dialogo, convivenza, maggiore giustizia, collaborazione e pace. Le norme sul pubblico impiego impediscono però di poterla dotare del personale tecnico necessario, perfino nei vitali livelli dirigenziali. L’Italia ha quindi un’Agenzia tecnica senza i dirigenti e il personale dell’area tecnica richiesti: un’assurdità. Il prossimo concorso per 60 giovani è positivo ma riguarda il futuro, quando avranno acquisito sufficiente formazione per assumere responsabilità non solo esecutive.
La politica ne è al corrente ma pare immobile, lasciando che una legge approvata tre anni fa con consenso praticamente unanime rimanga in parte inattuata. Le regole della Pubblica Amministrazione pretendono l’impossibile: che il personale tecnico – quello che deve possedere anni di esperienza, di conoscenze e di risultati verificati nei vari settori della cooperazione allo sviluppo, nei paesi partner, nelle organizzazioni specializzate, nelle agenzie internazionali – sia trovato all’interno della stessa PA, meglio se tra il personale in esubero. Assurdo? Sì, tragicamente assurdo.
Occorrerebbe inserire nella prossima legge di stabilità la possibilità di un concorso per un dirigente generale e una ventina tra capi ufficio ed esperti per coprire le inderogabili necessità dell’area tecnica (data anche l’età vicina alla pensione di non pochi esperti che hanno rappresentato la storia della cooperazione italiana e data la ben più ampia e ambiziosa dotazione di personale della altre Agenzie europee). Dovranno essere assunti dall’esterno, cioè da quelle organizzazioni nazionali e internazionali dove hanno potuto sviluppare le specifiche professionalità richieste. Non farlo avrà un solo significato: quello di volere distruggere quell’ambizioso progetto politico che avrebbe messo l’Italia al pari degli altri grandi paesi europei e in prima linea nei rapporti di partenariato con paesi divenuti di primario interesse. Con una grave perdita di credibilità politica a livello europeo e internazionale.
I Ministri degli Esteri, della Funzione pubblica, dell’Economia e delle Finanze, lo stesso presidente del Consiglio che da Ministro ha firmato gli atti per l’attuazione della legge, sapranno dare ascolto a questo che è un grido di allarme, di sdegno, di raccapriccio, di disperazione, prima che diventi un grido di guerra?
- La Cassa depositi e prestiti
Oltre a quanto già detto, è utile evidenziare il ruolo di CDP nell’ambito della finanza per lo sviluppo e delle soluzioni finanziarie innovative quali le blending facilities (il meccanismo di miscela di strumenti e di risorse pubbliche e private, nazionali, europee, internazionali) che costituiscono un importante e indispensabile valore aggiunto, aumentando la capacità di intervento del sistema italiano di cooperazione. Diversamente dalle altre IFS, quali la tedesca KfW o la francese AFD, la Cassa ha una contenuta capacità di miscelare risorse pubbliche nazionali in modo tale da essere competitiva a livello europeo.
Nell’ambito degli accordi con la DGCS e l’AICS occorrerebbe riuscire a dotare CDP di specifiche tecnicalità ed expertise e di un’adeguata dotazione organica e struttura organizzativa e conseguentemente di una specifica dotazione finanziaria, perché possa essere operativa nella cooperazione al pari di KfW e AFD. La dotazione di fondi da disporre a dono, come è per le due altre IFS, permetterebbe a CDP un capacità di istruttoria e di trattativa tale da promuovere progetti di cooperazione internazionale in tutti i paese previsti dal piano triennale, allargando dunque a importanti paese partner che, pur con economie più sviluppate, hanno profonde disuguaglianze, squilibri ambientali, emergenze climatiche e problemi sociali destabilizzanti.
Infine, così come previsto per altre istituzioni finanziarie bilaterali europee una garanzia di ultima istanza a supporto degli interventi della Cassa in buona parte dei paesi partner potrebbe rendere definitivamente operativa la sua funzionalità miscelando le proprie risorse con quelle del fondo rotativo previsto dalla legge.
IV. Le imprese e gli investimenti in Africa
Il nuovo Piano di investimenti esterni dell’UE e il relativo Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD) mettono a disposizione risorse finanziarie, garanzie sovrane, assistenza tecnica e accompagnamento per sostenere gli investimenti in Africa e nei paesi del Mediterraneo. Si tratta di cooperazione allo sviluppo e la CDP è una delle IFS di cui la Commissione Europea si servirà, mettendo a disposizione garanzie per sostenere gli investimenti del settore privato: dai trasporti all’energia, all’agricoltura, alla gestione idrica e dei rifiuti, alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, all’ambiente, ai servizi pubblici municipali, allo sviluppo delle PMI, alla diffusione del microcredito ed altro. Il ruolo di CDP è centrale nella collaborazione con le altre IFS e con la BEI. Rimane però da recuperare, per il sistema paese, il ritardo cronico che hanno le nostre imprese ad affrontare investimenti nei paesi più difficili dell’Africa, che sono anche paesi di partenza delle migrazioni. Occorre fare tutti sistema – il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, l’Agenzia, la CDP e il settore non profit, profondo conoscitore delle esigenze, particolarità e problematiche dei vari paesi – nel supportare il mondo delle imprese e degli investitori e nell’accompagnare, facilitare, capire e conseguentemente ridurre il rischio dei singoli investimenti. È un’attività che ha bisogno di essere pianificata e che deve coinvolgere tutti i ministeri e le istituzioni competenti. Il nuovo Piano europeo di investimenti esterni, promosso proprio grazie all’impulso del governo italiano, è un’occasione per poterlo fare.
Se le istituzioni politiche hanno compreso l’importanza di un simile Piano che potrebbe incentivare investimenti nei paesi partner fino a più di 40 miliardi di euro, non hanno però ancora compreso che il problema non è quello di trovare/produrre progetti sui quali invitare le imprese italiane, incentivandole e fornendo le necessarie garanzie per ottenere credito. La politica pare cioè non aver colto il punto centrale: sono le imprese che devono tornare a fare impresa. Il piano di investimenti in Africa è destinato ad imprenditori privati intenzionati ad impegnare propri capitali con l’obiettivo di aumentarne le potenzialità, grazie alle garanzie, ai crediti ed alla copertura del rischio, su progetti su cui vogliono investire per risultati di qualità e sostenibili. Ciò richiede un cambiamento di mentalità: mostrare di volere e potere investire in settori di primaria utilità, prendendo l’iniziativa, mettendoci del proprio, accettando il rischio e puntando al pieno successo imprenditoriale.
Sono molte le opportunità da cogliere per una più ampia cooperazione allo sviluppo e per la realizzazione dei necessari investimenti. Ma le istituzioni politiche devono sapere adottare, senza più ritardi, quei provvedimenti legislativi che permetterebbero di poterlo fare.
Le imprese devono ritornare a fare impresa, ad investire. Troveranno nel non profit, in un dialogo trasparente e paritario, alleanze per garantire sostenibilità a lungo termine e radicamento sociale.
Comunicato su: Vita.it