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ONG
01 Set 2023

LE IMMAGINI STRAZIANTI NELLA RACCOLTA FONDI. Riflessioni sulla comunicazione delle organizzazioni non profit

L’utilizzo di immagini strazianti nei video di raccolta fondi (in particolare bambini africani, deperiti e in procinto di morire), trasmesse insistentemente delle organizzazioni di solidarietà e cooperazione internazionale (Osci) e accompagnate da messaggi di permanente estrema urgenza e straordinarietà, è stato spesso un tema di dibattito che ha visto posizioni contrapposte. “Sono immagini che fanno vedere la realtà che incontriamo quotidianamente e che vanno quindi trasmesse per sensibilizzare, indignare e spingere a reagire e a donare per sostenere la nostra azione che cerca di mettere fine a tali orrori”: viene affermato da un lato. “Questo modo di comunicare è eticamente scorretto; si tratta di pornografia del dolore, di uso strumentale di immagini e messaggi finalizzato alla donazione, giustificando qualsiasi mezzo, provocando l’emozione per mercificarla”: viene contrapposto da altri.

Più volte si è sentito il bisogno di un codice di condotta riconosciuto da un organismo di autodisciplina. Ci sono stati, a cavallo tra i due primi decenni di questo secolo, utili momenti di approfondimento, anche con alcune prime importanti indicazioni. Mi limito a citare le Linee guida per le buone prassi e la raccolta dei fondi nei casi di emergenza umanitaria (elaborate nell’ambito dell’Agenzia per il Terzo Settore nel 2011, senza però affrontare questo tema) e la nascente volontà delle Osci di fare riferimento al Codice di autodisciplina dello IAP, Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria, anche contribuendo alla disciplina della comunicazione non-profit nel suo Titolo VI “Comunicazione sociale”. Per il resto rimando al chiaro ed accurato articolo di Nino Santomartino su VITA del 2 Novembre 2015.

Con la costituzione di uno specifico gruppo di lavoro nell’ambito dello IAP, si voleva evitare il proseguimento di un dibattito polemico, inutile e controproducente. In realtà, in questi ultimi 10 anni quel cammino di ulteriore approfondimento per integrare e assumere il Codice di autodisciplina si è interrotto. L’ormai incomprensibile divisione del mondo delle Osci, associate in tre diverse reti nazionali aggregative oppure a sé stanti, ha indubbiamente favorito questo rallentamento.

Le successive Linee guida sull’Infanzia e l’Adolescenza nell’ambito delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, pubblicate da Maeci e Aics nel 2021, rimangono anch’esse alquanto generiche, pur indicando gli standard internazionali e nazionali da seguire (Capitolo 4.9 – Comunicazione). “È fondamentale fornire immagini e storie che siano, sì, autentiche, ma che allo stesso tempo rispettino e proteggano i minori, le famiglie e le comunità coinvolte … Oggi più che mai si rende necessario contemperare il diritto/dovere di informare l’opinione pubblica sulle dinamiche del contesto in cui si interviene con l’obbligo di evitare l’utilizzo di immagini di soggetti minorenni al mero scopo di influenzare il pubblico o di strumentalizzarle ai fini della narrazione proposta”.

C’è comunque stata – va riconosciuto e apprezzato – una progressiva attenzione e autodisciplina: più decisa in alcune organizzazioni, meno convinta in altre. Tra queste ultime solo recentemente alcune sembrano sperimentare su social media forme comunicative con nuove immagini e nuovi messaggi, meno strazianti e aggressivi. È indubbiamente un buon segnale, che dovrebbe ora potersi estendere a tutti i canali comunicativi, compresi quelli televisivi, ben più incisivi.

NON SOLO DI FUNDRAISING SI TRATTA

Una riflessione collettiva andrebbe comunque ripresa, confrontando i diversi punti di vista e le differenti motivazioni. Valutando gli aspetti positivi e quelli negativi delle differenti comunicazioni per la raccolta fondi. Si tratta di una materia che riguarda tutte le Ong ed in particolare le Osci, organizzazioni di solidarietà e cooperazione internazionale. Non solo di fundraising si tratta infatti, ma anche di comunicazione (e informazione) sui paesi, le comunità e le realtà con cui lavoriamo, dell’immagine univoca che di essi trasmettiamo in Italia: quella della disperazione.

Sono state espresse negli anni varie perplessità. Talvolta limitate a borbottii, talvolta accompagnate da autorevoli indicazioni. Tra queste ultime mi hanno particolarmente colpito gli Orientamenti nell’uso delle immagini dei minori delle Pontificie Opere per l’Infanzia (19 maggio 2020). “Le buone intenzioni non giustificano l’uso di immagini discutibili della sofferenza, in particolare sui bambini”. “Il bambino e il ragazzo siano soggetto e non oggetto dell’immagine, si evidenzi la capacità di essere protagonisti del proprio destino e non beneficiari passivi dell’azione”. “Non alimentare discriminazioni né dipendenze di un paese da un altro”. “Scattare e utilizzare fotografie e immagini di bambini dignitosi, che non li presentino come vittime, vulnerabili o sottomessi, sporchi e affamati, in lacrime o nudi”. “Non far riferimento a stereotipi e materiali sensazionali per indurre pietà e giungere ad un aumento nella raccolta fondi”. “Evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona”. “Nessuna persona desidera essere descritta come miserabile anche se vive in una condizione di estrema povertà, che spesso è dovuta a motivazioni complesse e diverse a seconda delle culture”. “Non intendiamo edulcorare la realtà ma neanche colpire con immagini crude di chi in quel momento non può difendere la propria dignità”.

Molte sono le domande a cui dobbiamo dare risposta. Ad iniziare da questa: perché le Ong solidaristiche devono arrogarsi il diritto di comunicare nel modo che “rende di più” per la raccolta fondi, senza alcuna definita e condivisa regola? Quali sono cioè i limiti che il fundraising delle Osci non deve superare, anche a costo di rinunciare alla massimizzazione delle donazioni? Trasmettere immagini strazianti, sfruttando quasi sempre e comunque i bambini, o immagini di disperazione, di ripetuta ‘estrema urgenza’ spesso riferita ad un intero paese e una generica vulnerabilità, trasmette un’immagine dell’Africa (quasi sempre di Africa si tratta, ma il discorso vale ovviamente per qualsiasi continente e paese) che favorisce solo il mantenimento di un’idea negativa di questo continente. La straordinarietà e l’urgenza esageratamente ripetute, ogni mese, settimana, giorno, si trasformano inevitabilmente per tutti noi in “normalità”. I nostri occhi e le nostre orecchie si abituano così tanto da considerare normale in Africa l’eccezionalità. Abbiamo crisi e disperazioni diffuse anche in Italia ma nessuno si sognerebbe di dare dell’Italia una continua immagine di disperazione.

Sono stato in molti paesi africani, ho attraversato il continente nelle aree più difficili e più povere, con guerre e carestie, ci ho anche vissuto a lungo, con le comunità e come le comunità. e ciò che porto come immagine e come ricordo è la capacità di vivere la disperazione con resilienza e dignità, spesso superandola con la voglia di vivere e la certezza di essere molto più della situazione che si sta vivendo. Conosco molti africani in Italia e in Europa: hanno protestato e continuano a protestare per questi messaggi negativi sui loro paesi e sulla loro realtà. “Quali processi di cambiamento si stanno attivando con questa comunicazione? Nessuno – ci viene rimproverato. Sono le stesse tipologie di appelli e di immagini da ormai qualche decennio: l’altro (in particolare l’africano) è sempre riprodotto allo stesso modo. Mentre ogni ‘altro’ è irriproducibile e mentre tutto è in continuo mutamento”.

È in gioco la visione dei paesi con cui dovremo sempre più collaborare e cooperare, come Italia e come Europa, nell’affrontare insieme e con pari dignità le tante criticità che frenano lo sviluppo integrale delle persone e delle comunità, il nostro comune sviluppo, in un mondo fatto di relazioni e interconnessioni sempre più strette. Con quale diritto continuiamo a presentare un’Africa angosciosa mentre gli Africani fanno di tutto per presentarcela piena di spinte al cambiamento, faticose ma vere?

SCOPO DEI FUNDRAISER E SCOPI DELLE ONG

In qualche organizzazione sembra prevalere la “dittatura” dei fundraiser. Gli esperti di raccolta fondi sembrano infatti prevalere talvolta sugli esperti di umanità e di sviluppo integrale. Eppure nelle Osci dovrebbero prevalere decisamente questi ultimi, consigliati dai fundraiser ma senza subirne condizionanti influenze. Quando prevarranno gli appelli che parlano sì di difficoltà ma valorizzano e mostrano al contempo i successi, gli sforzi per farcela, i grandi e piccoli continui risultati che vediamo nelle comunità, nei villaggi e nelle città africane, le grandi speranze, quelle che spesso mancano a noi? Quando prevarrà la visione di partenariato sempre più stretto e paritario in dignità tra Europa e Africa?

Ritengo che tutti noi del mondo della cooperazione e solidarietà internazionale dobbiamo, anche attraverso la raccolta fondi, contribuire a dare dei paesi africani un’immagine più completa e veritiera, che contribuisca a suscitare interesse, vero interesse, non solo pietà, verso i paesi del continente a noi più vicino, per potere costruire partenariati di lungo periodo. È il nostro e loro futuro. Carità e pietà sono virtù che dobbiamo tenere vive e vivere pienamente. Ma non possono essere mostrate come l’unico fondamento del rapporto di cooperazione e solidarietà. La percezione è importante, perché un’errata percezione porta ad errate scelte, personali e politiche. Occorre essere innovativi: la realtà odierna lo richiede. Gli stessi fundraiser dovrebbero promuovere e sperimentare nuove, più appropriate e vitali modalità, per riuscire noi, Osci, a vivere meglio la nostra mission.

La comunicazione finalizzata solo al fundraising può avere successo nella quantità dei fondi raccolti ma può anche avere effetti gravemente distorsivi. Viene spesso ignorato il più ampio quadro di riferimento, quello a cui dovrebbe obbligatoriamente ispirarsi la strategia comunicativa dei fundraiser delle Osci e la qualità dell’informazione che viene trasmessa. Provenendo da organizzazioni umanitarie e di sviluppo, dovrebbe anche suscitare percorsi di pensiero, riflessione, critica, cambiamento, fino alla promozione – ove necessario – di concrete azioni di mobilitazione sociale per conseguire maggiore giustizia, equità, dignità umana, progresso, ovunque. Per non continuare a rimanere pezzi di un ingranaggio che crea ed alimenta il loro opposto. Altrimenti il cambiamento sollecitato rischia di ridursi alla pur lodevole personale donazione mensile. La call to action limitata al mettere mano al portafoglio non basta più. E andrebbe comunicato, dato che la negazione dei diritti basilari delle persone, quali il cibo, la cura, il lavoro, l’istruzione richiede azioni diffuse e ben più incisive.

La materia merita un serio approfondimento. Ho espresso le mie preoccupazioni e il mio punto di vista. Sarebbe interessante e molto utile conoscerne altri, in un serio e approfondito confronto. VITA è il migliore ambito per poterlo fare.

 

Su VITA

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)