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18 Giu 2017

PER OTTENERE VERITA’ SU GIULIO REGENI E’ BENE CHE L’AMBASCIATORE VADA IN EGITTO

(Pubblicato in Affari Internazionali).

Verità e giustizia per Giulio Regeni. Giungere alla verità ed ottenere giustizia per Giulio è un imperativo per ognuno di noi e lo Stato deve fare di tutto per pretenderle ed ottenerle, con fermezza e perseveranza, senza alcun cedimento. L’Italia ha dato un segnale forte con il richiamo a Roma per consultazioni dell’ambasciatore. Ma siamo quasi ad un anno e mezzo dal ritrovamento del suo corpo martoriato e il raggiungimento della verità rimane in mano alle procure egiziana e italiana che continueranno ad avere periodi di collaborazione, come è stato negli ultimi mesi del 2016, e periodi di stallo che potrebbero prolungarsi anni e anni. E’ giusto pretendere sostegno e pressioni da parte europea, più di quanto non sia forse stato fatto attraverso i canali diplomatici, ma stiamo toccando con mano il debole grado di solidarietà tra gli Stati dell’Unione. Occorre quindi altro. Altro che non si limiti a ferme dichiarazioni negli incontri internazionali, all’utile ma alquanto inefficace azione parallela delle imprese italiane operanti in Egitto o alla mobilitazione della pubblica opinione.

Posizioni differenti. Un anno fa ho firmato anch’io l’appello per il richiamo dell’ambasciatore e faccio parte da sempre del mondo che promuove e difende i diritti umani ed è solidale con chi li vede quotidianamente calpestati. La realtà dell’Egitto è indescrivibile: decine di migliaia i detenuti politici, persone scomparse e probabilmente torturate e massacrate, ristretta libertà di stampa, limiti e severi controlli su decine di migliaia di ong e associazioni. Su tutto questo non si deve chiudere gli occhi. Con il passare del tempo e con la mancanza di significativi progressi nelle indagini sull’assassinio di Giulio Regeni è però cresciuta in me la convinzione che l’Italia debba rimandare al Cairo il proprio ambasciatore. Negli ultimi mesi ci sono stati autorevoli pronunciamenti in questo senso ma le posizioni continuano a rimanere molto differenti e apparentemente inconciliabili, come d’altronde è apparso su queste colonne con le riflessioni di Ugo Tramballi e Paola Caridi.

Il ritorno dell’ambasciatore per ottenere verità. Grazie anche al mio vissuto nelle relazioni internazionali ed alla pluriennale esperienza umanitaria in contesti di gravi tensioni, ritengo che il ritiro dell’ambasciatore italiano non rappresenti più l’arma migliore per fare pressioni sul governo egiziano ai fini della piena verità. Anzi, sono convinto che ora, in questa fase, tale assenza contribuisca a rallentarla – e questo non deve succedere – e che sia quindi giunto il momento di rinviare l’ambasciatore, proprio per uscire da questa attesa inconcludente e indefinita nel tempo (fino a quando?) e per esercitare meglio e in modo diretto, deciso e continuativo le necessarie pressioni per il raggiungimento della verità, a fianco e a sostegno dell’azione della magistratura. La presenza, ne sono convinto, può ottenere molto più dell’assenza ai fini dell’accertamento di quanto è avvenuto e delle responsabilità.

Gli elementi di valutazione. Il prolungato richiamo dell’ambasciatore si è dimostrato improduttivo e rischia di divenire un gesto politico sempre più fiacco e senza grande utilità. Non è affatto detto che il suo ritorno significhi ripresa della ‘normalità’, prescrizione de facto dell’orrendo delitto commesso, sottomissione alla realpolitk. Al contrario: un mandato preciso del nostro governo, fermo, conflittuale e reso pubblico in Italia ed in Egitto, impegnerebbe l’ambasciatore ad intervenire, in ogni occasione e in modo intimidatorio, in favore della verità e di tutto ciò che in quel paese potrebbe accelerarla. Una rappresentanza diplomatica autorevole, con un chiaro mandato, può infatti contribuire all’accertamento della verità non solo agendo sulla procura generale ma sulle stesse autorità egiziane, ai vari livelli istituzionali, in ogni occasione e in modo sistematico. Il suo ritorno permetterebbe inoltre la ripresa di contatti ministeriali e parlamentari e quindi la possibilità di una decisa e costante azione di pressione in ogni incontro tra ministri egiziani e italiani o tra membri dei due parlamenti. Anche la parallela presenza a Roma dell’ambasciatore egiziano consentirebbe un dialogo e una pressione costanti, indispensabili allo scopo.

Canali diretti di comunicazione a livello politico. Non è attraverso i media e i comunicati, infatti, che gli Stati devono parlarsi, in particolare su una questione come questa. Come non è fermandosi alle denunce, alle ferme prese di posizione, alle conferenze stampa, agli articoli di giornale, ai convegni in Italia che si ottiene il rispetto dei diritti umani in Egitto. Non bastano. Ad essi, tutti doverosi e indispensabili, va affiancato altro, tra cui proprio ciò che ci siamo preclusi: il dialogo politico bilaterale, ad ogni livello istituzionale, per potere esprimere in modo diretto le posizioni e la denuncia del nostro paese e per potere intervenire – come non di rado è accaduto in situazioni analoghe nel mondo – a difesa dei diritti umani nel tentativo di salvare vite a rischio e proteggere persone o gruppi sociali perseguitati, facendolo in modo tempestivo e con autorevolezza.

Valore aggiunto. Il ritorno dell’ambasciatore potrebbe avere un valore aggiunto ancora più forte ai fini del raggiungimento della verità se accompagnato da altre significative azioni positive. Da un lato, iniziative che possono essere dedicate a Giulio Regeni, al fine di ricordarlo, onorarlo e ricordare continuamente, in Egitto, la necessità di verità e giustizia. Si potrebbero intitolare a Giulio aule, premi per tesi di laurea, programmi di formazione e scambi universitari, borse di studio e iniziative a favore di start-up di giovani egiziani come lui e molte altre ancora che le realtà italiane presenti in Egitto potrebbero a loro volta sostenere e moltiplicare.  Dall’altro, interventi di cooperazione finalizzati all’affermazione e alla tutela dei diritti umani e della dignità della persona, come in parte fanno altre cooperazioni europee, al fine di continuare ad affermarne l’importanza e la priorità anche nell’Egitto di oggi. Ampio potrebbe essere l’ambito degli interventi: dalla formazione di magistrati, pubblici ministeri, operatori di polizia, alle iniziative a sostegno delle minoranze e delle fasce più vulnerabili, dei diritti dei migranti, della partecipazione delle donne alla vita politica e al sistema giudiziario, della good governance a livello locale e nazionale, alla formazione nel campo della libertà di stampa, di espressione, di associazione, di tutela dei lavoratori e così via.

Segnale di forza e non di debolezza. Si tratterebbe quindi di una presenza e di iniziative che non ammetterebbero interpretazioni distorte sul significato del ritorno dell’ambasciatore. Non sarebbe infatti un segnale di debolezza o di cedimento ma una ferma, tenace e chiara azione di pressione politica per ottenere dall’Egitto verità e giustizia e per favorire al contempo i diritti umani nel paese, quelli che sono stati negati a Giulio e che continuano ad essere negati quotidianamente e brutalmente. L’Italia dimostrerebbe così quella fermezza che la statura del nostro paese impone.

“Cosa può fare l’Italia per ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni?” è stato recentemente chiesto al presidente Gentiloni. “Insistere e dare la sensazione che un paese come il nostro non dimentica e non rinuncia alla ricerca della verità”. L’invio in Egitto di una persona capace e determinata come l’ambasciatore Cantini, nominato ben un anno fa, con ampie conoscenza ed esperienza del Mediterraneo, risponderebbe pienamente alle intenzioni manifestate dal premier. L’alternativa sarebbe quella di continuare a sperare, in una lunga e snervante attesa, nel lavoro pur prezioso della procura di Roma e nella collaborazione di quella egiziana, senza alcuna certezza che questo possa bastare; insieme a quella di continuare a denunciare le repressioni senza poterlo fare in modo diretto e forte in incontri politici a tutti i livelli. Solo lo scambio dei due ambasciatori permetterebbe infatti la ripresa di incontri bilaterali tra ministri, tra parlamentari, tra amministratori regionali e locali, moltiplicando l’azione e la pressione italiana per la verità su Giulio e per i diritti fondamentali in Egitto.

Le tensioni nell’area mediterranea. Non è da sottovalutare, infine, che sono la difficile situazione internazionale, le crescenti tensioni che minacciano la pace e la sicurezza, la complessità delle migrazioni mediterranee a richiedere che i rapporti tra gli Stati dell’area si sviluppino con costanti relazioni e partenariati, pur basati sulla franchezza, l’esigenza di verità e la fermezza in merito al rispetto dei diritti fondamentali della persona e ai processi da mettere in atto per poterli garantire. E l’Egitto è al momento uno degli attori primari nei processi di ricomposizione e di influenza dell’area. Non si tratta solo di analisi geopolitica ma del destino di centinaia di migliaia di persone con le sofferenze che potrebbero derivare da un ulteriore peggioramento degli squilibri e della tensione nell’area.

Nino Sergi

Nino (Antonio Giuseppe) SERGI. Presidente emerito di Intersos, che ha fondato nel 1992 e di cui è stato segretario generale e presidente. In precedenza, dal 1983 fondatore e direttore dell’Iscos-Cisl, istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo. Nel 1979 direttore del Cesil, centro solidarietà internazionale lavoratori, fondato con le comunità di immigrati a Milano. Operaio e sindacalista. Tra gli anni '60 e '70 formatore in Ciad. Studi di filosofia in Italia e di teologia in Francia.
Onorificenze: Commendatore, Ordine al merito della Repubblica Italiana (27 Dicembre 2022).
(Gli articoli di questo blog esprimono sia posizioni personali che collettive istituzionali i cui testi ho scritto o ho contribuito a scrivere. Possono essere liberamente ripresi)