Capitolo per il “Dossier Statistico Immigrazione 2019”, pubblicato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in partenariato con Centro Studi Confronti. Roma, Ottobre 2019.
Le persone che hanno lasciato il proprio paese per vivere altrove sono oggi circa 272 milioni. Nel 1960 erano poco più di un terzo, 93 milioni. L’aumento è in linea con la popolazione globale passata da 3 a 7,69 miliardi nel periodo 1960-2019. La quota è rimasta costante nel tempo intorno al 3% ma potrebbe crescere, incentivata da un mondo interconnesso, da relazioni sociali e familiari diffuse, dalla facilità degli spostamenti, ma anche dai cambiamenti climatici e da quella che papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”.
Di fronte ad una globalizzazione mal governata e una prolungata crisi economica, la mobilità internazionale e la migrazione stanno creando tensioni, preoccupazioni, paure: vere, anche quando basate su percezioni errate, enfatizzate dai media e sfruttate a fini politici. Eppure, se le osserviamo nel tempo, esse hanno rappresentato un motore di avanzamento, perché pensate per raggiungere obiettivi di miglioramento e sostenibilità. Tranne casi di insuccesso o criminalità, la migrazione – quella lavorativa in particolare – ha rappresentato un fattore di sviluppo per gli stessi emigrati, per i paesi in cui si sono inseriti e per i paesi, le famiglie e le comunità di origine.
In precedenti edizioni, il Dossier Statistico Immigrazione ha cercato di illustrare il nesso tra migrazione e sviluppo. In questo saggio si cercherà di esaminarlo nel quadro del programma di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, evidenziando alcune interconnessioni tra la migrazione e gli obiettivi di sostenibilità – riduzione delle povertà, soddisfacimento dei bisogni primari, miglioramento delle condizioni di vita, riduzione delle disuguaglianze, parità di genere, lavoro dignitoso, inclusione – e mostrando che esistono reciproche influenze tra il loro raggiungimento e la migrazione regolare.
L’Agenda 2030, adottata dall’Onu a settembre 2015, comprende 17 obiettivi e 169 specifici target da raggiungere in quindici anni. Sono molti i target che da un lato si riferiscono alla dignità di ogni migrante, alle sue necessità primarie e ai suoi diritti familiari, sociali, economici e dall’altro trovano nel motore di sviluppo insito nella migrazione regolare un importante contributo al compimento dell’Agenda 2030[1].
L’emigrazione può contribuire al superamento delle povertà
Ci soffermiamo in particolare su alcuni profili degli obiettivi che riguardano la dignità di ogni persona e lo sviluppo inclusivo. Obiettivi: 1) sconfiggere la povertà, 2) porre fine alla fame, 3) assicurare salute e benessere, 4) fornire un’educazione di qualità, 5) raggiungere l’uguaglianza di genere, 6) garantire acqua pulita e strutture igienico sanitarie, 7) assicurare energia pulita e accessibile, 8) incentivare crescita economica inclusiva e lavoro dignitoso, 10) ridurre le disuguaglianze, 11) garantire alloggi e quartieri adeguati, 16) promuovere lo stato di diritto.
Tante sono le potenzialità della migrazione di ridurre le povertà e contribuire allo sviluppo e al benessere, ma esse richiedono politiche pubbliche che ne favoriscano l’effettivo esercizio attraverso una migrazione ordinata, sicura, regolare, come affermato dall’obiettivo 10, target 7 e precisato in modo articolato nel Global Compact for Migration.
Si tratta di tre caratteristiche indispensabili per potere produrre benefici: 1) agli stessi immigrati, 2) ai paesi e territori di accoglienza, 3) ai famigliari ed ai paesi di origine. Di seguito alcune evidenze.
1) Agli stessi immigrati (Obiettivi: 1.1, 1.2, 2.1, 2.2, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4, 4.5, 5.1, 5.5, 8.1, 8.3, 8.5, 8.8, 16.3, 16.9, 16.b)
Gli immigrati regolari lavorano, guadagnano, imparano, gradualmente si inseriscono e vivono in migliori condizioni abitative e igienico-sanitarie usufruendo del welfare, delle opportunità sociali, culturali e economiche offerte dall’integrazione, compresa l’educazione dei figli, attenuando le povertà che hanno accompagnato la loro emigrazione. Nel 2018 il loro tasso di occupazione in Italia è pari al 61,2%, superiore a quello degli italiani al 58,2%[2]. Svolgono perlopiù lavori poco qualificati ma col passare del tempo e la crescita delle capacità di integrazione e delle relazioni sociali le loro attività tendono a migliorare. Gli immigrati sono molto più mobili dei lavoratori italiani e solo il 50% continua a lavorare nella stessa provincia a distanza di quattro anni: grazie a questa maggiore mobilità riescono a ridurre la distanza retributiva rispetto alla popolazione nativa[3]. Apprendimento della lingua, migliore istruzione, partecipazione ad aggregazioni sociali e sindacali, accresciute esperienze lavorative e capacità contrattuale, maggiore consapevolezza dei diritti: sono fattori che migliorano le condizioni di lavoro e di vita dell’immigrato regolare, nell’effettivo perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Ciò vale ancor più per i figli. Gli studenti stranieri[4] iscritti nelle scuole italiane nell’anno 2017/2018 sono 841.719, il 9,7% del totale; il 63,1% è nato in Italia e le ragazze rappresentano il 48%. I non-Ue sono 653.522. Nell’anno 2016/2017 sono stati 826.091 (di cui 636.314 non-Ue), il 9,4% del totale, con il 60,9% nato in Italia. Si tratta di dati che mostrano, nonostante le carenze del sistema scolastico in alcuni territori, il positivo andamento, per ambo i sessi, dell’educazione e integrazione sociale, che per molti sfocia nell’acquisizione della cittadinanza.
Sui 5,3 milioni di stranieri la presenza femminile si aggira intorno al 51,7%, con un tasso di occupazione, tra i 15 e i 64 anni, del 50,2%, pur di fronte al rallentamento prodotto dalla crisi economica. Le lavoratrici regolari usufruiscono degli assegni di maternità e familiari e delle altre prestazioni sociali e sanitarie. Forte è stata la capacità innovativa, aggregativa e di emancipazione di molte immigrate, arrivate spesso sole e integratesi pienamente nella società e nel lavoro.
2) Ai paesi e territori di accoglienza (Obiettivi: 1.3, 1.4, 8.2, 8.5, 8.7, 8.8, 10.2, 11.1, 16.3, 16.b)
Gli immigrati coprono settori economici che, soprattutto per le mansioni meno qualificate, dipendono ormai dal loro lavoro, non essendoci sufficienti disponibilità di lavoratori nazionali (in particolare in agricoltura, allevamento, edilizia, ristorazione, industria alberghiera, distribuzione) e settori relativi ai servizi alla persona (colf, badanti) che con l’invecchiamento della popolazione sono destinati a crescere. L’Italia è infatti il secondo paese più vecchio del mondo, con il 22% della popolazione con più di 65 anni (si prevede il 27% nel 2030 e il 34% nel 2050); solo il 16,2% ha meno di 18 anni e il 6,5% ne ha più di 80, con 2,2 milioni di over 85[5]. Circa un milione di badanti, in grande maggioranza straniere/i regolari, sostengono persone non autonome bisognose di assistenza, che in Italia sono circa 3 milioni. L’economia e la società hanno ormai bisogno degli immigrati, senza i quali si realizzerebbero minore produzione, insufficienti servizi alla persona, minore occupazione femminile italiana, peggiori condizioni di benessere.
In Italia 3,87 milioni di contribuenti nati all’estero hanno dichiarato nel 2017 redditi per 52,9 miliardi di euro e hanno versato 7,9 miliardi alla fiscalità pubblica e 13,9 miliardi nelle casse previdenziali. Tenendo conto del costo degli immigrati per il sistema fiscale italiano, pari a circa 25 miliardi tra sanità, servizi sociali, istruzione, sicurezza, giustizia, accoglienza e previdenza, l’analisi costi-benefici ha un saldo di poco positivo pari a circa 200 milioni di euro[6]. Gli imprenditori nati all’estero a fine 2018 erano 708.949, il 9,4% sul totale nazionale; la tendenza degli ultimi dieci anni conferma un aumento del 41% di titolari di impresa nati all’estero e una diminuzione del 10,5% di quelli nati in Italia[7]. Un’immigrazione regolare e integrata produce quindi un impatto positivo sia a livello fiscale che economico. Ciò vale, in termini generali, anche per la sicurezza: la propensione a delinquere degli immigrati regolari è pari a quella dei cittadini italiani, mentre per gli irregolari è più alta, rappresentando i due terzi sia degli stranieri denunciati che di quelli detenuti[8].
Gli immigrati arrivano da noi sempre più giovani e la quota degli under 25 che cominciano a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015: in termini assoluti si tratta di 150.000 contribuenti in più ogni anno, che compensano il calo delle nascite che rappresenta una grave minaccia alla sostenibilità del sistema pensionistico. Nel periodo 1960-2016, il saldo tra montanti versati e benefici maturati dagli immigrati è positivo per le casse dell’Inps e quindi per le prestazioni generali per almeno 36,5 miliardi di euro[9].
È l’Istat[10] a lanciare l’allarme sul declino demografico in Italia. Nel 2018 l’indice medio di vecchiaia è stato pari al 172,9%, cioè 173 anziani con più di 65 anni ogni 100 giovani con meno di 14 anni. Nel 1961 tale indice era al 38,9% (39 anziani ogni 100 giovani), nel 1981 al 61,7%, nel 2001 al 129,3%. L’accelerazione è impressionante, anche rispetto agli altri paesi europei che si mantengono su indici di vecchiaia tra l’85% della Spagna e il 159% della Germania. A rallentare il declino demografico è la crescita dei cittadini stranieri. Negli ultimi quattro anni le acquisizioni della cittadinanza sono state oltre 638 mila: senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato intorno a 1,3 milioni di unità. Parallelamente, l’emigrazione di giovani italiani formati è annualmente doppia rispetto al numero dei nuovi ingressi, con una perdita di 14 miliardi pari all’1% del Pil[11].
È forse la più grande sfida del nostro futuro, in Italia e in Europa. A fianco delle vitali politiche di sostegno alla maternità e genitorialità, l’immigrazione è una delle componenti da prendere in seria considerazione, definendo una coerente visione e strategia politica di lungo periodo. L’Ue necessiterà entro i prossimi trent’anni di almeno 69 milioni di giovani per mantenere stabile la propria forza lavoro venuta meno a causa dell’andamento demografico negativo[12] e, per la stessa ragione, Confindustria considera per l’Italia un fabbisogno annuo di manodopera straniera di almeno 170mila unità nel cinquantennio 2015-2065[13].
3) Ai famigliari e ai paesi di origine (Obiettivi: 1.2, 1.5, 2.1, 2.2, 2.3, 3.1, 3.2, 5.1, 5.3, 10.2, 10.c, 11.1, 17.3)
Nel 2018 le persone strette nella morsa della fame sono state 821 milioni[14]. Con le rimesse e altri aiuti ai famigliari rimasti in patria, gli emigrati contribuiscono ad alleviarne le povertà rendendo possibili cure mediche, in particolare materno-infantili, miglioramenti alimentari, idrici, energetici, alloggiativi; favoriscono una più ampia educazione, istruzione e competenza informatica di figli, figlie e parenti; spesso investono, avviando attività che accrescono produzioni, occupazione e commerci locali; con le competenze acquisite stimolano l’innovazione, rafforzano la presa di coscienza dei diritti umani e sociali; contribuiscono al superamento delle vulnerabilità. Realizzano così, e non da ora, alcuni obiettivi di sostenibilità di grande rilevanza perché riguardano la dignità della persona, la qualità della vita e lo sviluppo.
Nel 2018 gli immigrati hanno inviato dall’Italia ai paesi d’origine 6,2 miliardi di euro, pari allo 0,35% del Rnl, +20% rispetto al 2017[15]. Tale cifra impressiona se comparata con quella dell’aiuto pubblico dell’Italia ai paesi in via di sviluppo che dallo 0,30% del Rnl nel 2017 è sceso allo 0,24% nel 2018[16]. A livello mondiale nel 2018 le rimesse hanno raggiunto 689 miliardi di dollari, 529 dei quali inviati in paesi a basso e medio reddito, mentre l’aiuto pubblico ha totalizzato 153 miliardi di dollari pari allo 0,31% del Rnl dell’insieme dei paesi donatori[17]. È corretto ritenere, sull’esempio della stima di Ifad, che 260 milioni di migranti internazionali stanno sostenendo complessivamente un buon miliardo di persone.
Nonostante siano normalmente dirette al ristretto circolo familiare del migrante, le rimesse hanno un effetto positivo anche sull’economia in generale, perché stimolano i consumi, gli investimenti, i commerci, rafforzano l’educazione e la salute, permettono migliori condizioni abitative e contribuiscono alla resilienza di fronte a shock quali turbolenze economiche e disastri naturali. Secondo il rapporto Oecd-Dac 2018[18] nei paesi in sviluppo circa il 50% delle ragazze non sono scolarizzate; 12 milioni sono sposate sotto i 18 anni, spesso per povertà, rimanendo facilmente escluse da ogni progresso; le persone con disabilità sono un miliardo, l’80% delle quali indigenti; il 10% della popolazione mondiale continua a vivere in condizioni di estrema povertà. Il superamento di tali criticità è insito negli obiettivi di sviluppo sostenibile e le diaspore hanno dimostrato, da sempre, di sapervi contribuire con efficacia, soprattutto nella dimensione familiare e territoriale. Il loro “transnazionalismo”[19] le rende un reale fattore di sviluppo e benessere sia nei territori di accoglienza, nei quali si sono integrate e sono riconosciute, che in quelli di origine.
Ostacoli e barriere
Non sempre la migrazione riesce ad esprimere le potenzialità di sviluppo e benessere che le sono proprie. Le cause sono molteplici. A titolo esemplificativo ne evidenziamo alcune.
1. Gli ostacoli prodotti dalle opzioni e decisioni politiche, in particolare quelle che propongono soluzioni semplicistiche a problemi complessi; le norme che riducono e spesso impediscono le possibilità di una migrazione sicura, ordinata e regolare e quindi di una proficua integrazione; l’incapacità o non volontà di governare i flussi migratori e trarne i relativi benefici. Sono scelte miopi, che aprono le porte all’immigrazione irregolare e non preparano ad affrontare il futuro, che non potrà fare a meno di nuove presenze.
2. Le cattive condizioni nei paesi di accoglienza: corruzione, criminalizzazione di minoranze vulnerabili, limitazioni all’accesso al welfare, barriere amministrative, manifestazioni xenofobe; diminuita collaborazione dei governi nazionali con le organizzazioni della società civile e le amministrazioni locali; politiche discriminatorie basate sul “prima i nativi” che vedono esclusi gli immigrati residenti da provvedimenti di sostegno sociale. Più in generale, la crisi economica, la prolungata disoccupazione, la crescita delle disuguaglianze, il grado di povertà ed esclusione sociale, che in Italia è pari al 30%[20], con 2,7 milioni di persone sostenute dalle mense caritatevoli[21].
3. Il brain waste, “spreco di cervelli”, a causa dei lavori a bassa qualificazione a cui sono costretti anche immigrati con studi elevati e specializzazioni.
4. Il lavoro nero, lo sfruttamento e i bassi salari per molti lavoratori immigrati, costretti a subire ricatti anche a causa di un’irregolarità solo burocratica e la mancanza di un deciso contrasto da parte delle istituzioni pubbliche insieme alle organizzazioni sindacali. Già cinque anni fa un’approfondita ricerca[22] evidenziava che circa la metà degli intervistati irregolari (il 47,1%) ha dichiarato di avere richiesto un contratto regolare ma di avere ricevuto il rifiuto del datore di lavoro.
5. Le crisi ambientali, con spostamenti e forzate migrazioni di massa che possono provocare violenze e conflitti, con nuovi spostamenti e ulteriori migrazioni.
6. Il land-grabbing, l’accaparramento speculativo delle terre da parte di investitori privati e istituzionali, l’economia di rapina e il commercio sleale che creano condizioni di insicurezza umana ed espulsione che forzano l’emigrazione.
7. Le condizioni di lavoro, quello agricolo in particolare, dettate dal clima, dalla povertà, dai vincoli sociali e culturali. Le donne, per esempio, pur rappresentando ampia parte della forza lavoro nel settore agricolo dei paesi in sviluppo, producono il 20-30% in meno degli uomini per il minore accesso agli input di produzione, ai mercati, all’assistenza tecnica, al credito, alla formazione[23]. Le condizioni di lavoro, quello agricolo in particolare, dettate dal clima, dalla povertà, dai vincoli sociali e culturali.
8. La popolazione dell’Africa raddoppierà in poco più di 30 anni, passando da 1,308 miliardi nel 2019 a 1,688 nel 2030 e 2,489 nel 2050[24]. Africani saranno i dieci più giovani Stati del mondo, con età media intorno ai 20 anni, determinando nel continente un bacino di circa 700 milioni di persone in età lavorativa, in paesi con gravi disuguaglianze e ampie sacche di povertà.
Superarli si può
Pubblicazioni recenti, come quelle segnalate alla nota 1, forniscono elementi di analisi e indicazioni per perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 valorizzando la migrazione e superando dannosi ostacoli e barriere. Ad esse si rimanda quindi, limitandoci a tre convincimenti a chiusura di questo saggio.
i. Gli obiettivi e i target di sviluppo sostenibile sono la bussola che tutti sono chiamati a seguire: le pubbliche istituzioni ad ogni livello di responsabilità politica, le entità pubbliche e private, le singole persone, ovunque. Anche le politiche migratorie, per essere coerenti e efficaci, non possono prescindere dagli obiettivi dell’Agenda 2030. È la rotta che permette di governare i flussi migratori, evitare errori e scelte politiche zigzaganti, affrontare le difficoltà e perseguire il bene e le convenienze comuni.
ii. La migrazione sicura, ordinata e regolare, come approfondita nel Global Compact for Migration e indicata nell’obiettivo 10.7, basata sul riconoscimento della dignità della persona, la salvaguardia della vita, i diritti fondamentali e i doveri di convivenza civile, è l’unica che permette di potere governare positivamente questa realtà, senza immaginare e adottare improbabili scorciatoie, che hanno dimostrato di aggravarne i problemi e cancellarne i benefici.
iii. La stessa cooperazione internazionale per lo sviluppo, con i relativi accordi con i paesi di emigrazione, va ormai intesa come cooperazione per l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ogni decisione politica, pianificazione e attività deve essere coerente con questa finalità. Ogni singolo progetto di partenariato per lo sviluppo dovrà essere pensato, attuato e valutato sulla base di questi obiettivi, degli specifici target e dei relativi indicatori di successo. È anche il modo per potere valutare l’operato di ciascun soggetto coinvolto. La cooperazione tra Stati, territori, comunità, partner privati profit e non profit dovrà sempre più consolidare il perseguimento della sostenibilità, come articolata nell’Agenda 2030, in modo complessivo e coerente. Le organizzazioni della società civile e il mondo della ricerca, in particolare, possono rappresentare il traino di questo approccio che coinvolge tutti e che è interesse di tutti attuare, in un impegno costante fino al 2030 e molto oltre.
Traduzione inglese: IMMIGRANTS AND SDGs
[1] Alcuni studi recenti hanno approfondito queste interconnessioni. Ne segnaliamo alcuni: Odi, Migration and the 2030 Agenda for Sustainable Development, London, 2018; Iom, Migration and the 2030 Agenda, Geneva, 2018; Gmdac-Iom, Global Migration Indicators, Berlin, 2018; Oecd-Eu Commission, Settling in 2018. Indicators of Immigrant integration, Paris, 2018; Asvis, La Legge di Bilancio 2019 e lo sviluppo sostenibile, Roma, 2019; Istat, Rapporto SDGs 2019, Roma, 2019.
[2] Dossier Statistico Immigrazione 2019, pp. 259-267.
[3] Inps, XVI Rapporto annuale, Roma, 2017.
[4] Dossier Statistico Immigrazione 2019, pp. 244-249.
[5] Istat, Rapporto annuale 2019, Roma, 2019.
[6] Dossier Statistico Immigrazione 2019, pp. 317-323.
[7] Censis, Università Roma Tre, La mappa dell’imprenditoria immigrata in Italia, Roma, 2019.
[8] Dossier Statistico Immigrazione 2019, pp. 204-207.
[9] Inps, XVI Rapporto annuale, Roma, 2017.
[10] Istat, Rapporto annuale 2019, Roma, 2019.
[11] Centro Studi Confindustria, Scenari economici, n. 30, Settembre 2017.
[12] Proiezioni Eurostat a ipotesi immigrazione zero.
[13] Centro Studi Confindustria, Scenari economici, n. 26, Giugno 2016.
[14] Fao, The state of food and nutrition in the world 2019, Rome, 2019.
[15] Dossier Statistico Immigrazione 2019, pp. 38-45.
[16] Oecd-Dac, Development aid drops in 2018, especially to neediest countries, Paris, 10 April 2019.
[17] Oecd-Dac, Development Co-operation Report 2018, Paris, 2018.
[18] Ibidem.
[19] Centro Studi e Ricerche Idos-Unar, Dossier Statistico Immigrazione 2013, Idos, Roma, 2013 p. 31.
[20] Istat, Rapporto SDGs 2018, Roma, 2018.
[21] https://www.coldiretti.it/economia/giornata-alimentazione-2018.
[22] Isfol, Rapporto di monitoraggio 2014, Roma, 2014.
[23] Oxfam, Finanziare le donne in campo, Briefing paper, Oxford, ottobre 2017.
[24] Un-Desa, World Population Prospects 2019, New York, 2019.