La nave Mare Jonio nel Mediterraneo centrale, la Conferenza internazionale di Palermo sulla Libia, il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’adozione del Patto globale sulle migrazioni: davanti a noi due mesi di grande interesse e impegno politico che potrebbero segnare una svolta.
La presenza di una nave italiana nel Mediterraneo centrale, sfidando il ministro dell’Interno e le sue drastiche decisioni in materia migratoria, merita il plauso di chi ancora non ha rinunciato ai principi costitutivi delle nostre società ed al primario valore dell’essere umano. La missione “Mediterranea”, con la nave Mare Jonio e il suo equipaggio, ha il merito di riaffermare il valore di ogni vita umana ed il dovere di soccorrere chi rischia di perderla. È stata presentata come «un’azione di disobbedienza morale e di profonda obbedienza civile … per svolgere un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della drammatica situazione che vede costantemente donne, uomini e bambini affrontare enormi pericoli nell’assenza di soccorsi, nel silenzio e nella complice indifferenza dei governi italiano ed europei».
La valenza politica di quest’operazione sembra quindi superare di gran lunga il suo valore umanitario. Più che la salvezza delle vite, l’obiettivo primario della missione è la denuncia dell’inaccettabile situazione con morti e dispersi nel silenzio generale. Essa dovrebbe durare due mesi durante i quali le persone salvate passeranno direttamente dalle acque internazionali al territorio nazionale rappresentato dalla nave battente bandiera italiana. Un’azione politica di forte significato etico, date le 1700 persone morte o disperse nel 2018 fino a giungere, secondo le stime dell’Ispi, ad un rapporto di 1 a 5 tra i salpati dalla Libia nello scorso settembre. Con qualche rischio, però, da tenere in seria considerazione, date le strumentalizzazioni che saranno messe in atto. L’operazione potrebbe perfino fornire maggiore forza e più ampio consenso all’intransigente linea del ministro dell’Interno se non gestita con estrema attenzione, professionalità, capacità di risposta, acutezza politica e comunicativa, coordinamento con le istituzioni preposte, in osservanza delle normative ed in coerenza con i principi umanitari. L’intransigenza ministeriale, è giusto qui ricordarlo, non ha comunque impedito circa 14.000 arrivi via mare, secondo le stime dell’Unhcr, in modo totalmente incontrollato e difficilmente controllabile; di cui si evita di parlare.
Intercettare e salvare persone che altrimenti sarebbero riportate in Libia dalla guardia costiera di Tripoli, sottrarle quindi a provvedimenti coercitivi disumani perché basati sul disprezzo dei migranti considerati al pari di animali e merci: è questo il punto chiave su cui dovrebbe focalizzarsi quell’azione politica che purtroppo non è ancora stata intrapresa nonostante la cascata di dichiarazioni verbali. Agire per ottenere la chiusura dei centri di detenzione dei migranti in Libia, perseguire i trafficanti e gli sfruttatori di esseri umani, proteggere e tutelare i più vulnerabili, in particolare le donne, i bambini, le persone con disabilità. Non c’è dubbio che salvare anche una sola vita umana sia un’azione che merita tutto l’impegno necessario per riuscirci. E fa senso che le istituzioni pubbliche, le nostre istituzioni, girino ormai lo sguardo altrove e rimangano sorde alle grida di aiuto. Ma ciò non deve distogliere l’attenzione dall’obiettivo politico decisivo. È l’impegno internazionale per il rispetto della dignità dell’essere umano e dei suoi diritti fondamentali che può creare le condizioni per ottenere questi non facili ma indispensabili cambiamenti in Libia e nei paesi limitrofi.
Il prossimo 10 dicembre celebreremo il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti di ogni essere umano. Quale occasione più appropriata per una posizione comune del Consiglio europeo, magari per iniziativa del ministro Moavero Milanesi e del governo italiano, sul proprio deciso impegno politico perché si ponga fine alla detenzione dei migranti e ad ogni forma di traffico e di sfruttamento dei migranti? Anche la prossima conferenza internazionale sulla Libia dei 12 e 13 novembre 2018 a Palermo dovrebbe contenere questo impegno tra i principali punti in discussione, sia nella prima giornata con gli interlocutori libici sia nella seconda alla presenza dei paesi più interessati e della comunità internazionale. La mobilitazione sociale e politica di tutti – dato che si tratta di un problema che riguarda tutti e che è interesse dell’Italia e dell’Ue risolvere – dovrà riuscire a farsi sentire in quelle due occasioni: i partiti e movimenti politici, i corpi sociali intermedi, le istituzioni pubbliche e private, l’associazionismo, l’intellighenzia, l’accademia, le scuole, i media, i social network.
Si tratta di un impegno politico che potrebbe rappresentare anche una parziale ma seria base comune, finora mancata, per iniziare ad affrontare il tema dell’immigrazione non più come emergenza, come è stato nel recente passato, ma come realtà da governare nella sua complessità. I flussi migratori e della mobilità umana non possono essere arrestati. Possono e devono essere governati: nel rispetto di ogni persona e dei suoi diritti inalienabili, nella considerazione delle compatibilità con la realtà sociale ed economica dei nostri paesi e la possibilità di reale integrazione, definendo i relativi limiti e le necessarie regole. Un approccio a cui anche gli altri paesi europei possono essere sensibili. Si tratta di un piano ambizioso ma realizzabile, come evidenziato dai lavori intergovernativi di quest’ultimo biennio che hanno prodotto il Patto globale sulle migrazioni che sarà formalmente adottato dai capi di Stato e di Governo nei prossimi 10 e 11 dicembre a Marrakech.